Spazi, frontiera necessaria
1 Ottobre 2019[Paolo Carta]
Chi si occupa di arti visive contemporanee, così come nella musica o nel teatro, conosce bene le difficoltà che ogni anno si affrontano riguardo la mancanza di spazi da adibire a progetti di varia natura. Che poi si tratti di luoghi da destinare a gallerie, studi, laboratori o residenze d’artista poco importa, infatti sia nei maggiori che nei minori centri dove il fermento artistico è presente, comprese quelle località che ambiscono ad averne uno, a fronte di svariate proposte, le risposte (se arrivano) sono spesso inconcludenti e inutili.
Le strutture libere e non operative ci sono, ma restano solitamente dismesse e tristemente deserte. Eppure la vitale necessità di spazi mai soddisfatta, è cosa nota da anni e tutte quelle realtà indipendenti che si sono susseguite con coraggio e passione, nel tentativo costante di richiedere nuove alternative per i propri progetti, lo hanno fatto spesso nella totale indifferenza delle amministrazioni, della popolazione e talune volte anche degli operatori stessi, questi ultimi, più dediti alla difesa del proprio orticello che della causa comune e del settore.
Il “sistema” dell’arte, in Sardegna non ha mai attecchito così saldamente e di certo non lo ha fatto quello dei grandi mercati, ma un movimento di ampio respiro dedito alla ricerca c’è sempre stato, attivo in maniera altalenante questo è palese, ma ha comunque trovato un certo tipo di terreno fertile. Quelle indipendenti sono senza dubbio le realtà più attive e reattive, un insieme di operatori lungimiranti sulle enormi potenzialità di quest’isola, proponendo continue e innovative soluzioni, attirando realtà e artisti da oltre mare. E in tutto ciò, appare palese che gli spazi restano parte fondamentale di questo delicato processo.
Allora come mai non esistono programmi culturali, sia comunali che regionali, proiettati in una vera azione di catalogazione di spazi dismessi che possano essere adibiti a centri culturali per gli artisti e il terzo settore? Possibile che la Sardegna sia diventata un enorme paese museo intoccabile? Assistiamo impotenti all’assenza di una vera pianificazione culturale, oggi tesa nella sua superficialità al riconoscimento unico dell’estate turistica, più che ad una necessaria progettazione sul territorio tramite una conversione di utilizzo di vecchie abitazioni, stazioni, ville storiche o vuoti capannoni appartenenti ad un’era industriale morta sul nascere.
Gli esempi di una cattiva gestione si sprecano, strutture comunali concesse in passato ad artisti e poi riprese e consegnate al nulla assoluto come capitò all’artista cagliaritano Gianni Atzeni, o i locali a Lo Quarter di Alghero concessi al fù progetto “Greetings from Alghero” e poi strappati a metà residenza per far posto al Rally di Sardegna di alcuni anni fa. O i ben più noti esempi dell’Ex Manifattura di Cagliari e dell’Ex Questura di Sassari; nel primo caso, un progetto appartenente all’era Soru, che prevedeva una conversione dell’ex struttura del Monopolio di Stato a favore di artisti, residenze, laboratori, scippato prima, impantanato tra leggi e burocrazia jurassica poi, oggi rinnovato in “Sa Manifattura” con un futuro attualmente incerto, con una programmazione che parrebbe trasformarla in una realtà competitor degli operatori isolani.
Nel secondo caso, l’occupazione dell’Ex Questura di Sassari con il progetto ExQ, un’idea innovativa di coworking culturale, seppur grezzo nella forma, corposo e interessante nella sostanza; anche questo sottratto senza un vero piano, con motivazioni più politiche che di sicurezza reale, senza offrire alternativa alcuna. Impossibile poi non menzionare gli spazi della vecchia sede dell’allora Liceo Artistico Statale di Cagliari di “Piazzetta Dettori”, oggi ExArt, ad appannaggio di pochi fortunati in un contesto di “occupazione fumosa” poco equa se vista dall’esterno, ma che porta alla luce tutta la problematica dell’esigenza di spazi, che se soddisfatta, avrebbe sicuramente evitato tanti dubbi sulla gestione attuale. Per quanto poi si possano condannare, tali occupazioni sono il risultato di una mancata pianificazione culturale e della poca attenzione verso artisti e operatori, delle vecchie e nuove generazioni. Fra i casi fortunati, i programmi di residenze d’artista Le Ville Matte a Villasor, PAS_Progetto Atelier Sardegna a Belvì e Nughedu Santa Vittoria, e il Festival Contemporary di Donori, che hanno trovato sostegno da parte dei comuni con abitazioni per artisti, laboratori e spazi espositivi.
Altro tasto dolente è la tempistica politica, una piaga che comprime tutte le buone idee tra i primissimi mesi di campagna elettorale e le prime settimane di insediamento. Poi il dimenticatoio. Inutile dire che non si dovrebbe sempre attendere l’ondata politica giusta per investire pochi spiccioli, serve continuità. E sì, perché ad ogni tornata si ricomincia da capo, con l’assessore di turno che ti chiama per sapere “…che cosa tu puoi dare alla comunità?”, quelle figure “culturali” che anziché porsi a disposizione degli operatori già presenti, hanno l’ardire di chiedere cosa puoi fare per il loro orticello, nella più onesta delle cose nostre. Sempre che abbiano il buon senso di interpellare gli operatori locali, operazione che dovrebbe essere scontata e basilare, ma l’ego dell’essere umano si sa, è bastardo.
Sempre in tema di spazi, la mancanza di Musei per il Contemporaneo è ancora drammatica. Unici degni rappresentanti restano il MAN di Nuoro insieme al Nivola di Orani e il MAC di Calasetta, in cui ogni tanto (ma mai abbastanza) entrano in calendario anche giovani artisti e collettivi frizzanti, ivi compresi quelli provenienti dal territorio. Eppure c’è ancora tanto da fare, soprattutto dopo mille disfatte.
Il Betile brucia ancora e a questo negli anni si è aggiunto altro, come l’attesissimo “MAC Cagliari” con la sua entrata da leoni, oggi persa nei meandri di non si sa cosa, fermo al 2016 insieme a tristi caricature esterne come cattivo presagio di una Cagliari che senza la presenza dell’EXMA non avrebbe quella continuità che da lei si esige. Fra le note positive il MASEDU di Sassari, per anni vittima dell’immobilismo provinciale, oggi rinato grazie ad un progetto di coworking e stampa 3D dell’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” in accordo con la provincia sassarese che lo ha concesso in comodato d’uso per venti anni.
Resta dunque una situazione critica, sfuggente, palese a pochi nella sua pericolosità. Sarà forse la “luna” ad estasiarci a tal punto da renderci ciechi davanti alle vere e più profonde problematiche? Non abbiamo la sfera di cristallo, ma speriamo in un allunaggio repentino, che possa finalmente porre una bandiera, rivendicando autonomia e integrità culturale.