Stabilità delle Costituzioni ed economia dei diritti fondamentali
1 Dicembre 2015Gianfranco Sabattini
Lorenzo Ranpa sul n. 2/2014 de “Il Politico” ha pubblicato un interessante articolo, “L’economia dei diritti fondamentali”, nel quale spiega come una parte di questi, quelli sociali, svolgano un ruolo stabilizzatore delle Costituzioni. Per capire tale ruolo, è interessante seguire l’analisi che egli effettua sulla base delle più avanzate acquisizioni conoscitive seguite alla discussione sugli argomenti dell’economia pubblica e dell’analisi economica del diritto: “Ogni Costituzione – afferma Rampa – prevede, in modo più o meno esplicito, una serie di diritti fondamentali in capo a tutti i cittadini, nessuno escluso. Come tali essi sono anche definiti universali e inalienabili”. L’inalienabilità dei diritti fondamentali rende difficile la loro analisi in termini economici, che invece è possibile per i diritti di proprietà e patrimoniali, per via del fatto che essi possono essere oggetto di specifici contratti di compravendita; nel loro caso, perciò, è possibile determinarne il valore di mercato.
Filosofi, storici, giuristi ed economisti hanno sempre discusso dei diritti fondamentali; mentre i filosofi, gli storici e gli economisti si sono interessati, rispettivamente, del loro valore morale, della loro origine e della loro statuizione, gli economisti si sono invece interessati del loro valore economico, la cui determinazione è necessaria per stabilire il “giusto” rapporto tra i “diritti di libertà”, o individuali, ed i “diritti sociali”, o collettivi. Al riguardo, alcuni, come Ronald Dworkin e Robert Nozick, definiscono i diritti di libertà come vincoli assoluti, nel senso che nessuna decisione presa a maggioranza può limitarli, anche se il loro esercizio dovesse causare un peggioramento del benessere collettivo; questa definizione viene interpretata nel senso che i diritti di libertà sono incommensurabili e inconfrontabili con gli altri diritti. A questa definizione libertaria estrema, altri, come John Rawls, contrappongono una definizione secondo cui i diritti di libertà sono quelli il cui esercizio implica un “minimo grado di protezione e assicurazione dei bisogni essenziali per tutti”. Quest’ultima definizione rende risolvibile la questione della commensurabilità e della confrontabilità, perché rende possibile assimilare il valore di tutti i diritti fondamentali a quello dei mezzi necessari alla loro attuazione. In questo modo, i due tipi di diritti, quelli di libertà e quelli sociali, possono essere confrontati e “sostituiti tra loro secondo un trade off che dipende dallo specifico contesto sociale e politico del paese considerato”; fatto, questo, che, in un contesto sociale povero, potrebbe rendere conveniente per i cittadini lo scambio di una minore protezione dei diritti di libertà con una maggiore protezione di quelli sociali.
Se si assume la confrontabilità delle due classi dei diritti fondamentali, nella prospettiva di analisi che lo Stato sia di origine contrattualistica, la Costituzione (o legge fondamentale) dello Stato può essere assunta come l’esito di una negoziazione tra i cittadini-costituenti o come gioco cooperativo tra gli stessi. Secondo Rampa, la più recente letteratura sull’analisi economica del diritto, utilizzando la teoria dei giochi, considera l’esito negoziale dei cittadini-costituenti come conseguenza di un gioco svolgentesi tra essi e un’autorità statale che già esiste; il gioco svolge la funzione di coordinare l’interazione tra i partecipanti, mentre il risultato da essi ottenuto (payoff) consiste “nel surplus delle loro attività produttive più o meno tutelate giuridicamente, al netto della tassazione e al lordo dei trasferimenti a loro favore”, mentre quello dell’autorità statale consiste “nella tassazione al netto dei trasferimenti stessi”. L’autorità statale potrebbe “trasgredire la tutela dei diritti dei cittadini, tassandoli senza alcun trasferimento in cambio, oppure trasgredirla concedendo trasferimenti solo a favore di uno [o più] di essi”.
Di conseguenza, vi possono essere, fra gli esiti del gioco, degli equilibri multipli, nel senso che in alcuni casi uno o più cittadini beneficiati dai trasferimenti si coordinano con l’autorità statale contro i cittadini non beneficiati; oppure, casi in cui tutti i cittadini si coordinano con l’autorità statale che rispetta i loro diritti; oppure, ancora, casi in cui tutti i cittadini si coordinano tra loro contro l’autorità statale, sostituendola con una nuova. La molteplicità degli equilibri pone il problema della selezione del possibile esito migliore, che viene individuato secondo il criterio, proprio della teoria dei giochi, della “soluzione focale”, assunta come quella che assicura il coordinamento delle posizioni ottimali di tutti i cittadini riguardo la definizione dei diritti da tutelare. La Costituzione di uno Stato democratico, perciò, altro non è che la regolamentazione del modo in cui si svolge la ricerca della soluzione focale, ovvero il coordinamento ottimale dell’interazione generalizzata tra tutti i cittadini-costituenti.
Assumendo l’adozione di una Costituzione idonea ad assicurare il coordinamento dell’interazione tra tutti i cittadini, non è detto che la sua stabilità nel tempo sia garantita. Se in un momento post-costituzionale i cittadini dovessero sperimentare benefici effettivi, al netto degli svantaggi derivanti dal peggioramento delle diversità delle condizioni sociali di partenza, essi potrebbero maturare l’idea che sia più conveniente rimettere in discussione la norma costituzionale della protezione pubblica generalizzata, sia dei diritti di libertà, che di quelli sociali. Per evitare questo pericolo, occorre che il principio di protezione rispetto ai bisogni essenziali per tutti induca i cittadini a prevedere nella fase costituente che, a fronte di un peggioramento delle disparità sociali aumentino i diritti di protezione pubblica, in modo che dal “gioco costituzionale modificato” possano emergere le condizioni per il consenso stabile sulla generale protezione pubblica di tutti i diritti. Questa conclusione – osserva Rampa, è “in linea con le giustificazioni giuspubblicistiche dei diritti sociali che enfatizzano il loro ruolo di coesione sociale e di consenso attraverso la rimozione dell’asimmetria delle condizioni di partenza dei consociati”.
Quale messaggio può essere tratto dal lavoro di Rampa? Una Costituzione, per quanto moderna e aperta a valori solidaristici, è esposta al rischio di una sua crescente disaffezione, anche da parte di coloro che l’hanno adottata originariamente all’unanimità; ciò avviene se, in momenti successivi, crescono le disparità sociali e se a queste non viene posto rimedio, con l’allargamento e il potenziamento dei diritti sociali. Se, al contrario, come avviene in Italia (ma non solo), a fronte di una crisi che si cerca di superare solo con il contenimento delle spesa pubblica, con conseguente peggioramento delle disparità, è inevitabile che il Paese sia esposto al pericolo della perdita della sua coesione sociale e, con questa, a quello della perdita o dello scadimento della sua Costituzione, sebbene essa sia considerata, in linea di principio, una delle più avanzate e “più belle” tra quelle esistenti nel mondo.