Ancora sul reddito di cittadinanza

26 Gennaio 2014

precarietà

Giovanni Nuscis

Continua il dibattito sul reddito di cittadinanza. È il segno che cresce l’interesse su questo tema. Se ne vuole sapere di più e al tempo stesso si vuole capire se si tratta di un progetto praticabile. Intanto pubblichiamo un nuovo intervento di Giovanni Nuscis, ne sono in programma altri due, uno di Marco Ligas e un altro di Gianfranco Sabattini che saranno pubblicati fra qualche giorno. Invitiamo altri lettori a partecipare al dibattito (red).

Mi sembra proprio che non ci si intenda, traendo conclusioni affrettate anche là dove si potrebbero forse condividere alcuni punti. Proverò allora ad essere più chiaro.
1. Corrispondere un reddito di cittadinanza universale (concesso a tutti i cittadini) e incondizionato (senza obbligo di controprestazione) sarebbe nel nostro Paese, al momento attuale, pura utopia. Forse anche poco sensato, per il fatto di corrisponderlo anche a soggetti con redditi elevati. Ipotizzando un RDC di 300 euro mensili per 60 milioni di italiani, la spesa da sostenere sarebbe di 216 miliardi! Meno comunque dell’economia sommersa, secondo una stima dell’Istat. Nell’ottobre scorso sono state presentate in Svizzera 100.000 firme per indire un referendum sull’introduzione del reddito di cittadinanza. Il voto si terrà nel 2015 o nel 2016, e sancirebbe il «diritto al non lavoro». Se il referendum passasse, si prevede l’equivalente di 2000 euro al mese per ogni cittadino maggiorenne, e l’equivalente di 500 euro mensili per chi non ha ancora compiuto 18 anni. Il tutto, per una spesa annua di 326 miliardi di euro. Ricordiamo che la Svizzera vanta un reddito pro capite (dato del 2012) di 78881 dollari, rispetto ai 31.115 dollari dell’Italia.
2. Affrancare le persone dall’obbligo del lavoro (giogo o gratificazione, a seconda delle persone, del genere di lavoro, della tipologia di contratto) è un risultato che ci augureremmo tutti di cuore. Ma con quali risorse, e grazie al lavoro di chi? Perché qualcuno dovrà pur lavorare.
3. Vi è l’esigenza di armonizzare: a)considerata la povertà dilagante, il bisogno sempre più forte ed esteso di un reddito; b) con la protezione della salute e dell’ambiente dai veleni e dalla scelleratezza dell’uomo (bonifiche, riassetto idrogeologico), di migliorarne la qualità della vita (con servizi più efficienti ed infrastrutture, un’alimentazione sana, un migliore rapporto con la natura, il facile accesso alla cultura e alla formazione); c) con la necessità di intervenire sui settori più importanti (agricoltura, formazione, turismo, ambiente, infrastrutture, patrimoni o culturale etc.) al fine di generare ricchezza per tutti, rimuovendone nel contempo gli annosi ostacoli (pessimo sistema dei trasporti, eccessiva burocrazia, costi esorbitanti dell’energia etc.);
4. Da qui l’importanza del lavoro di cittadinanza, contenuto e stabile, il più possibile coerente con la vocazione della persona e dei territori (ai quali dovrebbe competere la scelta dei settori da migliorare, e come), fino all’eventuale passaggio ad un lavoro a tempo indeterminato nel settore privato o in quello pubblico. Luciano Gallino parla di lavoro diretto attraverso un’apposita agenzia dell’occupazione, simile alla Works Progress Administration del New Deal americano. Parla ormai di lavoro garantito (Job guarantee) anche la Commissione Europea;
5. Solo nel caso di impedimento ad offrire il proprio apporto all’interno di percorsi di miglioramento settoriale dovrebbe essere corrisposto un reddito minimo garantito;
6. Col risanamento economico e un ritrovato benessere in termini di risorse pubbliche, potrebbe a quel punto riproporsi la soluzione di erogare un reddito di cittadinanza. Perché no? Chiudo con due versi di Li Po: “La vita nel mondo non è che un lungo sognare:/Col lavoro e le cure io non la voglio sciupare”.

4 Commenti a “Ancora sul reddito di cittadinanza”

  1. Gianfranco Sabattini scrive:

    Poche parole per sgombrare il campo da fraintendimenti. Nuscis parla di “lavoro di cittadinanza”. Di questa fantomatica “scatola vuota” nessuno, almeno in economia, ne parla; di conseguenza, nei limiti in cui se ne parla si dovrebbe indicare la “letteratura” che ha concorso a definirlo e a spiegarlo all’interno di un “corpus coerente di proposizioni”, così com’è avvenuto per il “RdC”. Inoltre, nessuno sinora si è sognato di considerare il “RdC” come “misura” aggiuntiva all’attuale sistema di sicurezza sociale; al contrario, il “RdC” è un’alternativa al welfare esistente, per cui le risorse, almeno in primis, si può pensare possano essere quelle derivanti da una riforma ab imis dello stesso welfare. Certamente, se si pensasse di introdurre in Italia il “RdC” nelle condizioni in cui versa il sistema economico, ci sarebbe solo da “stare freschi”.

  2. Giovanni Nuscis scrive:

    Non è esattamente come afferma. Parla di “lavoro di cittadinanza” l’economista Laura Pennacchi. Non mi risultano lavori monografici sul tema (mi riservo però una ricerca più accurata nella produzione editoriale recente), sono però riportati in rete alcuni suoi interventi:
    http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/07Jul2013/07Jul2013b933e5285e77bf6f8c818e582b40e825.pdf ;
    http://blog.libero.it/francomariblog/12391928.html ;
    http://www.manuelaghizzoni.it/2013/11/23/lavoro-o-reddito-di-cittadinanza-di-laura-pennacchi/ ;

    Come ho accennato nell’articolo, si sofferma sul concetto di lavoro di cittadinanza (o, meglio, di job guarantee/lavoro garantito, preferito al reddito di cittadinanza e a quello minimo garantito), il sociologo Luciano Gallino, nell’ottica della piena occupazione con richiamo al new deal roosveltiano. Qui, una sua intervista pubblicata in rete:
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/prima-il-lavoro-intervista-a-luciano-gallino/
    Lei parla del RdC come “alternativa al welfare esistente. Sì, l’ipotesi si potrebbe considerare: ma con quali tempi? Ammesso che questa classe politica metta tra le priorità una tale riforma – cosa assai poco probabile – ciò avverrebbe attraverso una legge ordinaria, là dove qui si discute di misure emergenziali nella nostra regione. L’entità delle risorse disponibili, continuo a ritenere, può consentire solo un reddito minimo garantito o, tutt’al più, un’integrazione del reddito percepito.

  3. Gianfranco Sabattini scrive:

    Caro Nuscis, mi pare che se la stia prendendo troppo; lasci stare la Pennacchi e Gallino, li conosco entrambi, a tal punto che molti loro scritti li ho recensiti in più di un’occasione. Lei continua a considerare il “RdC” come una misura alternativa al reddito minimo garantito o a qualsiasi altra misura di sostegno per chi si trova in stato di bisogno. Se non si esce da questo equivoco, noi continueremo a “pestare l’acqua nel mortaio. D’altra parte, poiché suppongo sia un lettore de “Il Manifesto”, si rifaccia al dibattito che il giornale ha ospitato e che ha visto come protagonisti Giorgio Lunghini e Pierre Carniti.
    Infine, un’ultima osservazione; a lei forse, per colpa mia, sfugge il senso della proposta fondata sull’introduzione del “RdC”. Si tratta di un progetto rivoluzionario, non di una misura di sostegno. So bene che, in quanto progetto rivoluzionario, non potrà essere realizzato nel giro di una legislatura. Per la sua attuazione occorreranno forse decenni; ma è una progetto destinato a rifondare l’organizzazione sociale in linea con la complessità dei moderni sistemi economici. Durante il periodo di transizione potranno certamente valere pro-tempore tutte le misure da lei indicate. Tenga conto del fatto che anche per la realizzazione del welfare sono stati necessari alcuni decenni.
    Per rendere questo dibattito più proficuo, se lo desidera e se lei me lo permetterà posso indicarle io alcuni riferimenti bibliografici sul reddito di cittadinanza e sulle sue finalità.

  4. Giovanni Nuscis scrive:

    Caro Sabattini,
    certi toni sono lontani dal favorire il confronto e la coesione tra persone e soggetti animati dallo stesso proposito di cambiamento. Senza stili di relazione e di comunicazione adeguati sarà difficile costruire qualcosa di efficace e duraturo sul piano collettivo. E’ il male endemico di quella parte della società che, vincendo l’apatia, ambisce a riformare là dove altri, nel pragmatismo della conservazione del privilegio, più facilmente si ritrovano, come i dati elettorali confermano.
    Abbiamo chiarito che si è parlato di cose diverse e per obiettivi diversi, entrambe comunque di estrema importanza. Le soluzioni da me prospettate si sono calate nel qui ed ora della nostra realtà regionale, badando alla loro fattibilità sotto il profilo ordinamentale e finanziario, piuttosto che alle ascendenze teoriche. Il mio impegno continuerà nella direzione di renderle concrete.

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