Svalutazione accademica
1 Agosto 2009
Pierluigi Carta
Il momento doveva arrivare, non ci siamo ancora dentro del tutto ma la prima avvisaglia si è già palesata. Il Pacchetto Università della Ministra Gelmini è stato partorito dopo un anno di travaglio. Repubblica in collaborazione col Censis e Somedia ha sviluppato una ricerca decennale per elaborare le classifiche pubblicate ogni anno riguardo all’offerta formativa degli atenei italiani. L’Università sarda è in crisi e i rettori protestano contro i parametri adottati nella classifica apparecchiata dal Ministero della Pubblica istruzione per distribuire i 525 milioni (7%) del fondo di finanziamento ordinario in base alla qualità della ricerca e della didattica. È un assioma destinato a ripetersi nel periodo del dopo riforma: più attenzioni (più emolumenti) agli atenei migliori, un aspro rimbrotto a quelli più in difficoltà; si tratta di un provvedimento che funzionerà nel lungo periodo? Gli scienziati rinchiusi nelle poche e mastodontiche cattedrali nel deserto culturale italiano tra vent’anni sapranno darci la risposta.
Si sistemano nelle fasce più alte gli atenei del triangolo industriale padano e nelle posizioni più basse vengono relegati quasi tutti gli atenei del centro sud e delle isole; sono 27 le università che hanno ottenuto meno finanziamenti. Definendo ufficialmente qual è l’aristocrazia accademica italiana il verdetto è chiaro: il predominio assoluto spetta a Padova, seguono poi Siena, Trento con Ingegneria, Giurisprudenza e Sociologia; Pavia con Scienze politiche e Ferrara ottima fucina di architetti.
Le grandi città stavolta non son state premiate, figurano sporadicamente Milano, Roma, Torino e Genova e l’evanescente Salerno, con la facoltà di Lingue. Perfino Roma Tre e La Sapienza non hanno soddisfatto i parametri della classifica.
I problemi del mezzogiorno colpiscono duramente anche la Sardegna, con Cagliari e Sassari che non brillano e scendono in classifica. La cattiva gestione dell’Università e la scarsità di fondi hanno inciso profondamente nella storia accademica dei due maggiori centri dell’isola; la magra consolazione di veder presente l’ateneo Cagliaritano nella rosa delle 400 Università migliori al mondo, analizzata dagli specialisti di Shangai, non ripaga gli studenti sardi e la popolazione civile isolana dalle deficienze che menomano un corretto sviluppo della didattica e della ricerca di base, a dio piacendo intessuta nel territorio.
Sistema creditizio deviato, modulistica 3+2 scardinata dall’ultima riforma, sovrabbondanza di fuoricorso, la pandemia dell’abbandono e disorganizzazione delle segreterie, scarsità di finanziamenti, proliferazione delle cattedre, baronato sommerso e familismo evidente e sfrontato, sono solo i più evidenti mali che fanno del nostro ateneo il bersaglio di critiche generiche o meno, qualunquiste o no (con buona pace di Mistretta) ma sicuramente appropriate che lo feriscono a morte davanti all’opinione pubblica. È necessario chiarire comunque che, perché un governo qualunque (anche se riguardo a quello di Berlusconi le speranze residue sono illusorie) investa di più nella ricerca occorre, almeno in parte, un certo consenso da parte dei cittadini.
Stavolta il ventennale Mistretta ha ben donde a protestare contro le direttive ministeriali, la sferzata tremontiana più che gelminiana da 500.000 € peserà eccome sull’attività didattica, ma la decisione spetterà al nuovo rettore Giovanni Melis al ritorno dalle vacanze. Ma lui, parole sue, si dice fiducioso riguardo al prossimo futuro, sembra non essere incline al gretto materialismo monetario; intanto è solo questione di tempo, qualche dipartimento dovrà saltare.
La valutazione degli atenei è un sistema diventato moda già dai tempi della riforma Berlinguer, che non ha mai accontentato il corpo docente. I parametri non tengono adeguato conto della produzione scientifica, spesso sono sballati in quanto non valutano adeguatamente la zona di posizionamento del centro accademico. La differenza tra un’università del nord Italia, rispetto ad una di quella del sud è strutturale, non si basa solo sul personale docente e amministrativo. Le variabili valutative si basano quasi esclusivamente sui servizi offerti all’utente-studente, recentemente sempre più cliente che studente. Il criterio aziendalistico col quale si sta modificando la concezione stessa di Università ha relegato in ultimo piano la funzione sociale e funzionale al progresso della ricerca. l’Università è stata degradata dal ruolo di guida culturale del paese al livello di diplomificio e di ammortizzatore sociale.
I suddetti parametri sembrano avvantaggiare gli agglomerati accademici ad offerta didattica univoca, come i Politecnici di ingegneristica con le loro varie articolazioni. Le loro strutture infatti consentono una migliore coerenza ed efficienza nella distribuzione dei servizi. Da questa classifica escono pestati ed ammaccati gli atenei di tipo generalistico come quello Cagliaritano, in quanto si tratta di centri con offerte di più difficile gestione nei quali confronti l’Anvur, l’Agenzia per la valutazione del sistema universitario (l’unione tra Cnvsu e Civr) non è stata prodiga. La Ministra più saggiamente avrebbe dovuto aiutare le strutture più in crisi vigilando maggiormente sull’amministrazione della spesa ivi destinata, in modo da promuovere i centri accademici come fulcro di sviluppo economico, sociale e perfino culturale.
I giovani in tutto il mondo sono quelli che impersonano la ricerca di punta, che producono idee autenticamente rivoluzionarie e fanno avanzare di scatto il fronte delle conoscenze e ci vogliono schiere di ricercatori bravi e meno bravi, perché alla fine, come scrive Edoardo Boncinelli, sono gli uomini che fanno la ricerca. Le direttive governative favoriscono la stagnazione sociale che inevitabilmente sta producendo un’asfissiante stagnazione economica, e bisogna evitare che il paese si focalizzi solamente sulla cosiddetta ricerca applicata e trascuri la ricerca di base o fondamentale.