S’Urachi, il principe dei nuraghi del sud
1 Aprile 2008
Alessandro Usai
Prosegue, dopo l’articolo di Mauro Perra pubblicato nel numero 20, la nostra inchiesta sulle ‘aree del (supposto) tsunami’ dove intervengono gli attori diretti della ricerca scientifica su tali monumenti. Questa volta tocca all’archeologo Alessandro Usai, che ci parla degli scavi nel nuraghe S’Urachi di S. Vero Milis (OR), il magnifico monumento sul quale Mario Tozzi, nella trasmissione televisiva di Rai 3, Terzo Pianeta, si interrogava sulla possibilità che la terra che lo sovrastava fosse o meno fango da tsunami (con relative, possibili, tsunamiti). (Red.)
Scrivere di archeologia richiede sempre una dichiarazione di obiettivi e di metodo. Infatti, anche se non mancano i ciarlatani di medicina o di astrofisica, l’archeologia attrae i dilettanti più di qualsiasi altra disciplina scientifica, quasi quanto la politica e il calcio. E poiché oggi anche la partecipazione politica si è ridotta a tifoseria sportiva, sembra normale che chiunque possa parlare di nuraghi come di una partita decisa da errori o accanimenti arbitrali.
Naturalmente noi archeologi non priveremo i cittadini della libertà di pensiero e di parola, ma nemmeno riconosceremo all’ultimo arrivato il diritto di voto nella repubblica della ricerca scientifica a cui abbiamo aderito e di cui abbiamo il dovere di difendere le regole e la dignità nell’interesse superiore di tutta la società che della scienza ha bisogno.
In un precedente intervento l’amico e stimatissimo collega Mauro Perra ha descritto il metodo archeologico. Qui preme sottolineare che lo studioso, e in particolare l’archeologo, non è indifferente alle sorti umane; al contrario, osserva e rivive i piccoli fatti e i grandi processi del passato, compresi gli errori individuali e i drammi collettivi, e se ne fa carico per interpretarli e porgerli alla comunità contemporanea.
In Sardegna, l’archeologo è l’interprete delle radici della nostra variegata e non monolitica identità culturale, e deve avere una missione etica e sociale. Gli studiosi delle culture prenuragiche, della civiltà nuragica e dei mondi fenicio, punico, romano, altomedievale, bassomedievale e moderno dedicano l’intera vita alla comprensione di ciò che veramente è successo nel passato più o meno lontano, perchè i Sardi imparino a fare serenamente i conti con le luci e le ombre della propria storia e superino il solito sterile atteggiamento di rivendicazione e autoconsolazione. Insomma, per essere buoni patrioti non è importante pretendere per i nuraghi un posto più alto nella classifica delle antiche civiltà; piuttosto, bisogna assumersi la responsabilità di un immenso patrimonio e sforzarsi di esserne degni eredi nell’affrontare la competizione culturale globale del nostro tempo.
Alla luce di questa premessa, il grande rudere di San Vero Milis chiamato S’Urachi si libera istantaneamente del peso delle parole vuote, unico fango che ancora ricopre tutti i monumenti nuragici. Nella realtà della ricerca archeologica S’Urachi è un documento potenzialmente illuminante, ma difficilissimo da decifrare: un condensato di tutti i problemi interpretativi intorno ai quali gli studiosi della civiltà nuragica e di quella fenicia cercano incessantemente di costruire risposte credibili in quanto adeguate alla complessità dei processi in gioco.
Anche se lo scavo e lo studio procedono con risorse insufficienti e intermittenti, l’ultima campagna, condotta nel 2005 da me e dal collega Alfonso Stiglitz, ha affrontato l’indagine in modo sistematico. Abbiamo recuperato le notizie degli scavi di Giovanni Tore e di Giovanni Lilliu e le memorie di coloro che avevano visto il monumento ridotto a discarica di rifiuti e, prima ancora, a cava di pietra e fabbrica di mattoni crudi d’argilla e paglia. Abbiamo impostato, insieme alla giovane e valente archeologa Barbara Puliga, un programma di intervento organico: da una parte la rimozione ordinata dei depositi accumulati sulla spianata sommitale del rudere, dall’altra saggi mirati alla base dei margini esterni. I geologi Salvatore Carboni e Luciano Lecca, docenti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari, hanno portato un contributo prezioso campionando, analizzando e interpretando i depositi di terreno stratificati sopra, intorno e perfino sotto il monumento.
Le immagini dello scavo di Giovanni Lilliu, recuperate nell’archivio fotografico della Soprintendenza Archeologica di Cagliari, mostrano una lunga trincea perimetrale che aveva lo scopo di mettere in luce le strutture esterne del monumento: il grande antemurale di cui oggi si vedono sette torri ed altrettante cortine (probabilmente altre tre restano coperte dai sedimenti nel quadrante sud-occidentale), ed un grosso muro addossato all’antemurale a Sud-est, costruito in epoca nuragica ma con blocchi squadrati. Lo scavo di Lilliu produsse una modesta discarica, ancora conservata accanto al nuraghe, composta in prevalenza da materiale terroso con pochi blocchi lapidei. La trincea, di cui ancora oggi si distinguono il margine esterno e il fondo poco ribassato rispetto al piano di campagna, non sembra aver incontrato ostacoli salvo un modesto accumulo di crollo in corrispondenza di una cortina del settore orientale, che fu indagato successivamente da Giovanni Tore. Inoltre lo scavo di Lilliu individuò alcune capanne puniche addossate all’arco settentrionale dell’antemurale, oggi quasi completamente distrutte ma chiaramente poggiate su un piano regolare poco al di sopra delle fondazioni del nuraghe.
Queste impressioni sono state confermate dai due saggi esterni, eseguiti accanto al muro sud-orientale in blocchi squadrati e accanto alla base della torre di Est-nord-est dell’antemurale, di cui era già in luce il filare di fondazione sporgente. In entrambi i casi si è riscontrato un deposito sottile e finemente stratificato, costituito da una serie ordinata di livelli abitativi di epoca punica con frammenti ceramici, grumi di argilla concotta, ossa animali e carboni, che si segue fino all’affiorare dello strato vergine su cui l’intero monumento venne edificato e che è composto da ciottolame alluvionale grossolano di origine fluviale e di epoca pleistocenica. Chi è abituato a osservare, anzi meglio a scavare i nuraghi, non può non rimanere colpito dalla mancanza del consueto accumulo di blocchi di crollo, sempre possente e avvolgente: senza escludere che alcune parti del monumento nuragico non siano state mai completate, sembra evidente che esso subì nei secoli una sistematica spoliazione; ma un crollo generale sembra non essere mai avvenuto, meno che mai una catastrofe.
La rimozione dei depositi superiori, già avviata da Giovanni Tore, è proseguita con l’obiettivo di individuare i pochi lembi stratificati non disturbati dall’attività di produzione di mattoni crudi e dallo sciagurato utilizzo del monumento come discarica. Sotto questi depositi affiorano due torri appartenenti al nucleo interno del monumento, la cui forma complessiva non è nota; probabilmente esso è decentrato verso Est e lascia un ampio cortile nella parte occidentale dell’antemurale.
L’eccezionalità di S’Urachi, che giustifica l’indagine archeologica, appare chiara se pensiamo che esso fu edificato in una zona priva di pietra da costruzione, a costo di trasportare appositamente migliaia di blocchi di basalto dagli affioramenti di Narbolia che distano quasi tre chilometri. Quest’opera ciclopica venne realizzata su un dosso appena rialzato tra due rigagnoli a pochi passi dallo stagno di Mare ‘e Foghe, forse in concomitanza con un altrettanto ciclopico progetto di trasformazione agricola. Tra gli altri nuraghi della zona, anch’essi realizzati nello stesso modo, questo doveva essere, ed è rimasto anche nel nome, il principe dei nuraghi del Campidano settentrionale. Ma fu mai completato? Come fu utilizzato dai suoi costruttori, a parte la forse preponderante motivazione simbolica? Fu mai affiancato da un insediamento? Cioè, sopravvisse dalla prima grande epoca nuragica (quella in cui i nuraghi furono costruiti) alla seconda (in cui i nuraghi cominciarono ad essere smantellati e reimpiegati a vantaggio degli insediamenti)? Come fu utilizzato nei tempi dell’incontro tra le comunità locali di tradizione nuragica e gli immigrati fenici? Forse verso la fine dell’VIII sec. a. C. il nuraghe non era un luogo di vita, dal momento che una comunità mista si insediò a breve distanza nel luogo detto Su Padrigheddu.
In ogni caso, formulare le giuste domande e costruire pazientemente le risposte coi metodi dell’archeologia servirà ai Sardi molto più di una falsa rivincita.
29 Aprile 2008 alle 12:13
Caro Usai, grazie per il tentativo di divulgazione su S’Uraki; la comunità, quella dei cittadini non archeologi vi rende Grazie.
É vero che l’archeologia dei nuraghi è diventata uno sport (stesso Ministero per giunta!), ma di che stupirsi?
Sembrerebbe che gli esempi di tsunami e dei loro sostenitori stiano all’archeologia come ciò che è stato definito ‘antipolitica’ sta alla politica.
Sembra che scrivendo di “dignità della comunità scientifica” da difendere, “non permettendo all’ultimo arrivato il diritto di voto”, Lei ricopra il ruolo di un anomalo garantista idealista.
Sebbene sia in pieno accordo con le sue posizioni scientifiche, chiedo scusa, ma la sua frase riecheggia ingenuamente come quelle di Radio Padania nei confronti del diritto di voto per badanti rumene e muratori polacchi!
Abbasso l’ingenuità: i garantisti dovrebbero combattere in primis la presenza del parastato nella politica (secondo l’equazione ‘comunità scientifica=senato’, vista l’età dei membri).
Spero che capisca: non si può difendere la presenza di Cuffaro in Parlamento!
Quindi, se trionfa ‘l’antipolitica’ (Tsunami&Co), è perché quella parte di ‘politica onesta e idealista’ (pochi coraggiosi della Comunità Scientifica) non è riuscita a far fronte ai danni provocati dalla ‘parapolitica’(gli altri non onesti e non coraggiosi della Comunità Scientifica), quel tumore che blocca il paese e la scienza, sposato da anni alla VERA POLITICA!
Nell’Isola, in realtà, antipolitica-archeologica=parapolitica!
30 Aprile 2008 alle 06:36
Caro Alessandro,
i miei complimenti, soprattutto per l’incipit del tuo contributo. Ho molto apprezzato quanto hai detto a proposito della “collocazione in classifica” della civiltà nuragica.
Un caro saluto
Piero Bartoloni
14 Maggio 2014 alle 09:39
Bravo Alessandro!