Testamento biologico e autodeterminazione
1 Maggio 2017Gianfranca Fois
Sono 737 nel triennio 2011-13 (dati Istat) i malati che pongono fine col suicidio alle loro sofferenze, sembra che quasi altrettanti tentino il suicidio ma non ci riescono per difficoltà oggettive. Questi i numeri impressionanti di quanto accade oggi in Italia, un paese che a differenza delle nazioni più civili non ha ancora una legge sul fine vita.
Solo in questi giorni, dopo anni e anni di immobilismo, finalmente il parlamento italiano sta discutendo la Legge “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, d’ora in poi Dat. Nonostante infatti la nostra Costituzione dica chiaramente, all’articolo 32, che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” in Italia la legge ha conosciuto impedimenti e ostacoli soprattutto da parte del fondamentalismo cattolico e di quelle parti politiche più retrive o succubi alle alte gerarchie vaticane.
Quelle stesse parti politiche che contemporaneamente mostrano indifferenza, se non addirittura ostilità nei confronti dei poveri, dei sofferenti e dei migranti. Ma occorre ricordare che lo stesso papa Pio XII già nel 1957 rivolgendosi ai medici cattolici distingueva tra mezzi ordinari e mezzi straordinari per mantenere in vita i malati e sosteneva il diritto del malato al rifiuto dell’accanimento terapeutico. Oggi poi che la lunghezza della vita è aumentata e quindi sono aumentati i casi di malattie degenerative, la situazione è diventata drammatica, come dimostra il già citato numero dei suicidi, e si spera in una celere approvazione della legge. Anche perché oltre alle disposizioni del diritto comunitario europeo e internazionale e al codice deontologico dei medici in Italia si sta affermando una pratica giurisprudenziale dal momento che la magistratura è stata costretta a intervenire dove la politica non è stata in grado di legiferare. E così abbiamo il caso, fra gli altri, di Eluana Englaro e, in Sardegna, di Walter Piludu.
Tutto ciò non ha impedito la presa di posizione prettamente ideologica di una parte di medici, giuristi, politici che si definiscono cattolici e che attaccano violentemente la legge in discussione accusandola di favorire un’eutanasia mascherata e di programmare in questo modo una “strage degli innocenti”. Costoro non tengono conto del fatto che nei paesi in cui leggi simili sono in vigore non è successo niente di tutto ciò e che in Svizzera e Germania gli stessi vescovi cattolici abbiano lavorato apertamente per una normativa sul trattamento di fine vita. Uno dei punti più esasperati delle posizioni di questi “cattolici” è quello che riguarda la nutrizione e idratazione artificiale che non vengono considerate atti medici mentre appare evidente che di questo si tratta dal momento che solo un medico ha la facoltà di gestirle. Naturalmente per esprimere un parere definitivo sulla legge è necessario aspettare che il Parlamento approvi il Dat. Qualche preoccupata osservazione si può però fare.
Ad esempio la frase “Il medico non ha obblighi professionali” riferito alla decisione presa tra medico e paziente di porre fine o interrompere cure mediche ormai inutili ed eccessivamente dolorose. La preoccupazione è che possa trattarsi di un’apertura all’obiezione di coscienza che abbiamo già visto quanto sia nefasta nel caso ad esempio della legge 194 sull’aborto. In effetti se la decisione sul fine vita deve essere raggiunta dopo un percorso che vede coinvolti gli attori principali non si capisce perché il medico possa prendere la decisione di tirarsi indietro e abbandonare il paziente nelle mani di un altro col quale questo non ha stabilito quello stretto contatto che il percorso richiede. Un’obiezione di coscienza in questo caso mi sembra un atto di mancanza di senso di responsabilità. Questa abdicazione sarebbe sì un danno all’immagine del medico, non il pericolo di rendere il medico puro esecutore della volontà del paziente (altro atto d’accusa verso la legge da parte di lobby interessate evidentemente ad altro).
La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme, diceva Montaigne, e ogni persona è insieme non solo di dati biologici ma, soprattutto di relazioni, affetti, storie e prospettive culturali che ne fanno una persona unica, particolare e diversa, che non può essere ridotta all’interno di schemi rigidi e astratti. Per questo ritengo che sia importante e trasparente il rapporto, la relazione simmetrica tra medico e paziente, una relazione che vede due persone autonome, una che spiega e aiuta a comprendere con attenzione e senso di responsabilità, l’altra che decide con consapevolezza e autodeterminazione e si affida con fiducia.