The Consequences

16 Marzo 2021

[red]

Il 27 marzo 2021, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, inaugura alle ore 11.00 The Consequences, mostra fotografica di Stefania Prandi a cura di Emanuela Falqui.

La mostra è in collaborazione con la Collettiva Le Infestanti, il Centro Antiviolenza dell’Unione Comuni d’Ogliastra, il Centro di Documentazione e Studi delle Donne di Cagliari, la Circola nel Cinema Alice Guy, Sardegna Teatro e Dry-Art. La mostra sarà visitabile fino al 14 maggio con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 18.00. Per la prenotazione del biglietto gratuito. Pubblichiamo la presentazione della mostra a cura di Emanuela Falqui.


I casi di femminicidio sono notevolmente aumentati durante il lockdown, i giornali parlano di un caso ogni due giorni. Se si considera che questi omicidi avvengono tra le mura domestiche, si conferma che la violenza di genere è, prima di tutto, un fenomeno intrafamiliare e che ci tocca molto da vicino.

Nonostante questo, ci sentiamo spesso distanti da queste storie, come se riguardassero solo la sfera privata degli altri.
La narrazione mediatica non aiuta a dare il giusto peso a questo drammatico problema: prima di tutto ci fa credere, nonostante i dati confermino il contrario, che il pericolo sia fuori casa e che le donne, per proteggersi, debbano stare dentro le mura domestiche.1)

Inoltre assistiamo quotidianamente ad una pubblica rappresentazione banalizzante e voyeuristica della violenza. La notizia, ridotta a un mero fatto di cronaca, è accompagnata da parole giudicanti nei confronti della vittima, e c’è la tendenza a giustificare il comportamento maschile, assolvendolo, perché gli uomini non sarebbero in grado di gestire le proprie emozioni e pulsioni.

Non è un caso, infatti, che sentiamo parlare sempre più spesso di vittimizzazione secondaria, quando, ad esempio, all’interno dei tribunali le donne sopravvissute o i familiari non riescono ad ottenere giustizia e, in generale, laddove la società e le istituzioni non si fanno carico del femminicidio come fenomeno strutturale e sistemico di una cultura ancora fortemente maschilista.

Quando cade ogni possibilità di attaccare la donna in quanto portatrice dei moventi del femminicidio, che restano quelli del vecchio delitto d’onore (voleva lasciarlo, aveva un altro compagno, desiderava cambiare vita), la si colpevolizza per il fatto che non ha pensato, in ogni momento della sua vita, che dietro ogni uomo c’è un potenziale omicida o che ha sperato che una persona – nella fattispecie il suo aguzzino – potesse migliorare, e dunque non ha chiesto aiuto a sufficienza o non ha messo in essere ogni strategia possibile per sottrarsi alla violenza: si è lasciata ammazzare, insomma.

Ma anche quando le donne chiedono aiuto, non sempre vengono ascoltate.

Non dobbiamo dimenticare che, durante il primo lockdown, le richieste di aiuto da parte delle donne sono aumentate considerevolmente: secondo l’Istat le chiamate ai centri antiviolenza italiani sono cresciute del 73% . Il rapporto di Action Aid del 2020 sottolinea che l’Italia continua a essere carente di strutture, e molti centri antiviolenza non possono dare il dovuto supporto.

In un articolo dell’Internazionale del 25 novembre 2020, leggiamo la testimonianza di un’operatrice di uno dei primi centri antiviolenza in Italia, attivo dal 1986, che conferma la carenza di fondi pubblici a sostegno dei centri: “Durante la crisi sanitaria abbiamo avuto spese straordinarie, ma gli aiuti ce li hanno dati i privati e la rete D.i.r.e., non sono venuti dalle Istituzioni. Avevamo bisogno di comprare mascherine, gel, termoscanner e dispositivi di protezione”.2)

Per questi motivi, con la riapertura degli spazi culturali in Sardegna, vogliamo dare voce alle donne vittime di violenza di genere e ai loro cari.

La mostra fotografica di Stefania Prandi nasce a seguito di un’indagine durata 3 anni, che ha raccolto, attraverso le parole dei familiari, le storie di donne uccise per mano di mariti, ex fidanzati, padri, o che sono sparite. Un lavoro che mette al centro l’ascolto, accoglie la rabbia, il lutto ma anche la forza di chi porta avanti delle battaglie, dentro e fuori i tribunali, per restituire dignità a queste donne, perché oltre alla verità processuale esiste anche quella storica.

Le fotografie, accompagnate dalle testimonianze, ricostruiscono i ricordi facendo emergere il vero significato dell’affetto e del rispetto verso le persone care, contro la retorica di una cultura che mette sullo stesso piano l’odio, la gelosia, il controllo, il potere, come manifestazioni secondarie e naturali dell’amore.

Un incontro di sguardi e di fiducia, in cui i familiari consegnano il loro vissuto alla fotografa, che con delicatezza crea un immaginario intimo, di grande intensità psicologica e profondamente incisivo, allontanandosi dalla spettacolarizzazione del dolore alla quale siamo abituati, per lasciare spazio alla riflessione.

Trenta ritratti colmano l’assenza di queste donne, grazie a chi non si arrende; ma sono anche un invito ad avvicinarci e ad adottare queste storie come nostre, e per le quali tutte e tutti possiamo fare qualcosa per evitare che ancora accadano.

Stefania Prandi ci fa sperare che un fotogiornalismo etico e responsabile, sia ancora possibile. Perchè “il soggetto non consiste nel mettere insieme dei fatti, perché un fatto in se non vuol dire molto. L’importante è saper scegliere quel fatto capace di essere vero in rapporto alla sua realtà profonda”3)

  1. Giomi E., Magaraggia S., Relazioni brutali- Genere e violenza nella cultura mediale, Edizioni Il Mulino 2017.
  2. Camilli A.,I fondi che mancano per combattere la violenza contro le donne, in “Internazionale”, 25 novembre 2020.
  3. Bresson C., L’immaginario dal vero, Edizioni Abscondita, 2005.

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