Disturbare il manovratore
1 Agosto 2007
Mauro Nieddu (Sinistra Democratica – Cagliari)
Il sogno della smilitarizzazione dell’arcipelago della Maddalena è durato davvero poco: nemmeno il tempo di prepararsi alla partenza delle navi Usa che subito ci si appresta a trasformare l’Isola in un fortino, un sinistro arcobaleno di zone verdi, gialle, rosse. I colori che a Genova sono stati tutti omologati al rosso del sangue dei manifestanti brutalizzati dalle forze dell’ordine.
Un altro G8 in Italia dunque, una nuova sfida di mobilitazione per la sinistra che ancora si considera antiliberista e per i movimenti. E in Sardegna?
Certamente fa male vedere la propria terra trasformata in un’enorme campana di vetro per fare da palcoscenico alle stucchevoli esibizioni degli auto-proclamati grandi del mondo; sarebbe però un grosso errore se leggessimo l’evento in chiave semplicemente localistica. La sinistra sarda deve cogliere questa occasione per integrarsi pienamente nella discussione sulle crisi globali di cui il periodico vertice informale dei paesi più industrializzati è simbolo. Un vertice la cui popolarità sembrava in inarrestabile declino solo qualche anno fa, al punto da metterne in discussione la stessa esistenza: a che serve una manifestazione che è essenzialmente una vetrina, marketing politico insomma, nel momento in cui suscita solo proteste ?
Tuttavia il riflusso dei movimenti ha permesso a questa pseudo-istituzione di passare la crisi e ripresentarsi nel nostro paese in un clima profondamente diverso da quello del 2001. Questa situazione consente a questi incontri al vertice di raggiungere lo scopo costitutivo per il quale sono nati, rappresentare simbolicamente il potere a-democratico che le elite di quei paesi esercitano sul resto del mondo. Da questo punto di vista sarà importante il ruolo che le forze della sinistra, oggi tutte al governo a differenza del 2001, saranno in grado di svolgere. Bisognerà essere capaci di esercitare un forte contrappeso rispetto alla tentazione che inevitabilmente farà breccia nel provincialismo italiota di molti esponenti della maggioranza di centrosinistra e soprattutto del Pd, quella cioè di assecondare il carattere di vernissage mediatico tipico di questi vertici, evitando accuratamente di far emergere elementi di differenziazione, in maniera tale da far prevalere nelle cronache giornalistiche gli aspetti di colore e placare con le foto di gruppo l’eterna ansia di legittimazione che caratterizza la politica italiana.
In questo senso notevoli passi avanti sono stati fatti invece nel resto del mondo e non sfugge il ruolo svolto dal movimento alter-mondialista nello smascherare gli inganni più evidenti che venivano celati dalle luci della ribalta mediatica. Lontani sono ormai i tempi in cui medie potenze come l’Italia si struggevano per essere ammesse in quel consesso, e ottenere così la sanzione del proprio ruolo. Oggi i paesi che non ne fanno parte, e soprattutto le potenze emergenti dell’Asia e dell’America Latina come Cina, India, Brasile, Argentina e Venezuela, non sono disposte ad abdicare alla rappresentanza dei propri interessi in cambio di un invito a fare da spettatori ai vertici, consapevoli che solo all’interno di istituzioni realmente democratiche possono far valere la forza dei loro numeri, la maggioranza degli abitanti della terra, rispetto ai numeri dei G8 che sono essenzialmente quelli del denaro e degli eserciti.
Rimane tuttavia fondamentale il ruolo che una nuova cittadinanza globale è in grado di svolgere nella realtà in cui viviamo. Occorre riportare al centro della scena le contraddizioni e i punti di crisi dell’attuale assetto globale, elementi intimamente connessi al modello di sviluppo neoliberista, modello rispetto al quale le elites dei G8 non appaiono disposte ad accettare alcun cambiamento di rotta. Poco o niente c’è quindi da aspettarsi come gentile concessione del sovrano, molto si può ottenere conquistando lo spazio di un nuovo agorà mondiale, in cui realizzare l’integrazione di tutti gli elementi di conflitto sociale interni al sistema liberista e oggi ristretti nei confini nazionali. La democrazia quindi, come conquista da ottenere per i cittadini del mondo, come singoli e come moltitudine, e non come modello prêt-à-porter da esportare a cavallo dell’ideologia dominante o peggio sulle ali dei bombardieri.
Ritorna ancora una volta il problema dell’egemonia, oggi saldamente in mano alle destre mondiali. Troppo breve è stata la stagione dei movimenti, nei quali molti di noi avevano visto l’alba di una nuova era. Ancora una volta si è sottovalutata la forza del nemico; una forza che deriva dal poter determinare le condizioni di vita di ciascuno di noi. Certo la popolarità dei tradizionali centri di promozione delle politiche liberiste è ai minimi termini; pensiamo al discredito in cui versano istituti come il FMI e la Banca Mondiale che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’imporre queste politiche al livello globale, agendo in nome e per conto del consenso di Washington ma celandosi sotto le false spoglie delle istituzioni super partes. Tuttavia il problema sta nel fatto che il sistema in cui viviamo, nei suoi caratteri fondamentali, è ormai senso comune per la gran parte dei cittadini dei paesi occidentali. Quello che non può fare la propaganda ideologica lo crea il clima da stato d’assedio nel quale siamo costretti a vivere: precarietà del lavoro, fobia rispetto all’immigrazione, al terrorismo, fuga dalla politica e dalla partecipazione, spingono verso la conservazione dello status quo, fiaccando tutte le energie del cambiamento. Si tratta di fenomeni globali, tratti costitutivi della crisi della democrazia, della quale il neoliberismo non è il naturale complemento ma il vero e proprio cancro. Possiamo e dobbiamo sfondare questo muro, riportando il conflitto sociale al suo ruolo di pratica della democrazia e non di anomalia del processo democratico come anche nel nostro paese, soprattutto dagli ideologi del Pd, viene vissuto. Il G8 può essere una occasione e chiama chi in Sardegna si considera di sinistra a un ruolo da protagonista. Torniamo a disturbare il manovratore.