Turchia e dintorni. Come è nata la Turchia moderna?
16 Giugno 2018[Emanuela Locci]
Le vicende che hanno interessato la Turchia negli ultimi due anni, ci si riferisce al tentato colpo di stato, alla preminenza della figura politica di Erdoğan, alla stretta sulle libertà individuali fondamentali, alle questioni di genere e al ruolo della Turchia nello scacchiere del vicino e Medio Oriente, hanno aperto un dibattito abbastanza vivace sulle cause storiche che possono aver determinato la situazione che la Turchia vive oggi. Le domande che i più si pongono, sono le seguenti: come è la Turchia? su cosa si basano le sue istituzioni, la sua storia?
Premesso che non esiste probabilmente una risposta univoca a questi quesiti, si può tuttavia cercare di ricostruire brevemente la storia della Turchia dall’età repubblicana in poi, per individuare dei punti fermi nella questione in oggetto. Da subito incorriamo in quello che può essere definito un errore di percezione storica: siamo da sempre avvezzi a ritenere che Kemal Atatürk abbia costruito una nazione ex novo, in totale rottura con il glorioso passato imperiale. Una nazione nuova votata all’occidentalizzazione, governata da pilastri quali la laicità, il nazionalismo, ecc. Ebbene la Turchia è anche questo, ma non è solo questo. Da recenti studi condotti da ricercatori italiani e stranieri è emerso un altro quadro, che se non ha rivoluzionato la precedente percezione, ha comunque fornito qualche tassello in più per avere una visione più completa di quello che è il mosaico Turchia. Innanzitutto la maggior parte delle riforme kemaliste attuate dal padre della patria e dal suo entourage, non erano nuove ma affondavano le proprie radici in riforme che già avevano visto la luce dall’Ottocento in poi. Il grande merito del kemalismo è di aver fondato una nazione su queste riforme. Quindi, la vocazione europeista era già iniziata con le riforme Tanzimat del 1839, che hanno rappresentato con i successivi rescritti imperiali una cesura con il passato isolazionista ottomano. Da quel momento l’Impero si è aperto verso l’esterno, tessendo o rafforzando relazioni con i paesi europei. La debole economia ottomana, gravata dai debiti contratti, costrinse i governanti a una politica economica di semi-dipendenza dai capitali stranieri, e questa situazione perdurò anche nel primo periodo repubblicano e oltre. Il kemalismo ereditò una situazione difficile, una nazione fortemente provata dagli esiti della Prima Guerra Mondiale, che aveva bisogno di una guida sicura e decisa: la trovò in Atatürk e nel kemalismo. Quest’ultimo ebbe dei meriti evidenti, movimento politico nato da uno shock nazionale, funse da traghettatore in una fase storica tanto difficile quanto importante, ricordo, infatti, che lo smembramento dell’impero fu vissuto come un dramma, che ancora oggi in qualche modo attanaglia la società turca, spesso vittima di una vera e propria sindrome, quella di Sèvres, dal nome dei trattati che determinarono la fine dell’Impero ottomano. Il kemalismo ebbe anche dei limiti, le cui conseguenze si possono probabilmente riscontrare anche oggi nella società turca. Fondamentalmente il limite più importante, fu quello di non essere riusciti a far penetrare le riforme in ogni strato della società, questo limite era intrinseco alle riforme, poiché furono calate dall’alto, imposte nello strenuo sforzo di rinascere a vita nuova, allontanando tutto quello che poteva ricordare un passato importante ma ingombrante. La società turca degli anni Venti e Trenta del Novecento non era pronta per una mole così grande di cambiamenti, dal punto di vista individuale e comunitario. La richiesta governativa di diventare in breve tempo da società musulmana, che si reggeva da tempo immemorabile sui precetti religiosi, a società laica, non attecchì, non fu recepita pienamente, o meglio lo fu solo da quella parte della popolazione inurbata che già aveva avuto contatto con i principi ispiratori di concetti tutti occidentali quali: democrazia, nazione, libertà e laicità. I problemi nascono nel momento in cui ci si rende conto che la maggior parte della popolazione turca non è interessata da queste riforme o che riesce a recepirle solo in parte. Uno dei problemi principali della Turchia, che spesso è stato sottaciuto, e che è stato studiato solo in parte anche con riferimento alla questione del processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, è quello della definizione univoca dell’identità nazionale turca. Questo paese e la sua società civile considerata spesso cerniera tra occidente e oriente dovrebbe cercare di definire risolutivamente quale è la sua identità, la sua eterna dualità la condanna a un limbo dal quale sembra impossibile uscire.
Una chiave di lettura forse un po’ azzardata, ma comunque da tenere in considerazione, rispetto agli avvenimenti attuali della Turchia può essere rappresentata dal fatto che oggi, anche a causa di elementi concomitanti, quale crisi economica e identitaria, sia più agevole ritrovarsi nei vecchi fasti, riprendendo le fila dell’ottomanesimo, trincerandosi e rafforzandosi internamente con concetti e prassi quali il nazionalismo, l’islamizzazione, la forte centralizzazione del potere, e la determinazione a svolgere un ruolo di primo piano nelle dinamiche internazionali della regione medio orientale. L’espansione degli interessi economici anche in terre lontane come l’Africa fa gioco a questa nuova tendenza politica. Il problema risiede tutto nel comprendere se effettivamente la Turchia abbia la forza strutturale di compiere questi passi e non debba invece rassegnarsi a svolgere un ruolo di potenza di secondo piano.
La classe politica turca sta spingendo la nazione verso un crinale che si fa mano a mano più stretto nei rapporti con l’occidente, mentre allarga i suoi orizzonti verso oriente. La situazione politica interna è in continua evoluzione per cui solo il futuro ci potrà dire a cosa è destinata questa Turchia, che affonda le sue radici in un passato lungo seicento anni ma che si protende prepotentemente verso il futuro.
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