Turchia e dintorni. Donne in prima linea
1 Giugno 2020[Emanuela Locci]
Il Covid 19 non ferma la repressione del governo Erdogan contro le opposizioni, anzi considerando che l’attenzione mediatica internazionale è concentrata su altri temi, le azioni governative di oppressione si fanno più audaci, sfidando ogni logica democratica e di diritto.
Sono ormai note le vicissitudini di giornalisti, scrittori, filantropi, uomini d’affari che sono stati arrestati e processati, spesso con processi farsa e che quindi sono ancora nelle carceri turche. Ad essi si aggiungono nelle ultime ore 18 donne, attiviste del movimento Rosa Women’s Association. L’associazione è molto conosciuta e attiva nella parte meridionale della Turchia, dove la repressione governativa si fa più dura, con la popolazione a maggioranza curda.
Le donne, alcune delle quali anche esponenti del partito filo curdo HDP, il cui leader Selahattin Demirtas è in carcere da più di tre anni, ancora in attesa di un processo, sono state prelevate dalle proprie case e arrestate, su ordine della procura della repubblica della città di Diyarbakir, che è titolare dell’inchiesta.
Le accuse sono quelle che orami conosciamo: dall’organizzazione di una manifestazione per l’8 marzo; al sostegno dato per uno sciopero della fame per protestare contro la carcerazione del leader carismatico Abdullah Ocalan; la vicinanza con il movimento delle donne libere e per ultimo ma non per importanza la lotta contro i femminicidi. Alle donne è stato inoltre contestato l’uso di slogan prettamente femministi: donne, vita e libertà! O “Non ostacolare il nostro libero arbitrio”.
Tutte queste accuse, dovrebbero dimostrare la natura terroristica del movimento femminile, le cui componenti sono state arrestate senza una prova concreta, ma solo su delazione.
L’accusa più “grave” per il governo rimane quello della gestione del territorio da parte del partito filo curdo, in particolare ad essere contestato è il sistema paritario di genere che prevede la doppia leadership di genere, sia dentro il sistema partitico sia nelle istituzioni locali.
Quindi se vogliamo tirare le somme rispetto a questa deprecabile situazione le donne sono accusate di partecipare ad un movimento e di essere parte di un partito che combattono ognuno nel proprio ambito, il patriarcato.
Il movimento delle donne libere ha pubblicato un comunicato stampa in cui illustra cosa effettivamente sta accadendo in Turchia in questi mesi:
“il diritto e la libertà delle donne all’organizzazione indipendente sono considerati un pretesto per essere incriminati. Tutti gli usi del diritto alla libertà di espressione a favore della libertà delle donne sono considerati prove incriminanti. Questi attacchi dimostrano che il governo di coalizione Akp-Mhp è intenzionato a continuare le sue politiche misogine, militariste, razziste e sessiste utilizzando a tale scopo la religione. Essere una donna, essere curdo, vivere nella parte curda del paese provoca un aumento esponenziale della repressione”.
La deriva autoritaria del governo di Ankara si è palesata dopo il tentato colpo di stato del 2016 e ancora oggi a quasi quattro anni di distanza non sembra aver perso la sua forza oppressiva che anzi pare di mese in mese rafforzarsi, malgrado le forze all’opposizione, sia che si parli di partiti politici, sia di società civile dissidente cerchi di non farsi sovrastare dall’ondata di violenza e prevaricazione posta in essere dalla leadership.
All’ombra della mezzaluna decrescente si attendono nuovi sviluppi, secondo un recente sondaggio, se i partiti all’opposizione, il Chp, Iyi, e l’Hdp, trovassero un accordo elettorale sarebbero in grado di spazzare via il potere del partito di Erdogan, che non avrebbe la vittoria in mano neanche se tenesse in piedi l’attuale coalizione con il nazionalista Mhp.
Si aprirebbe una nuova era, con una Turchia più libera.