Turchia e dintorni. Morte di Stato
1 Maggio 2020[Emanuela Locci]
Sulla morte di Helin Bolek, giovane cantante della band Grup Yorum, deceduta il 3 aprile dopo 288 giorni di sciopero della fame nella sua abitazione nel quartiere Sariyer, si è scritto tanto, ma non abbastanza. Non abbastanza in un mondo che oggi ha altre priorità. La fine della sua vita e soprattutto i motivi della sua morte hanno innescato un dibattito che però dopo una settimana era già caduto nel dimenticatoio. Una vita interrotta nella disperata richiesta di un processo equo per sé e per i componenti del suo gruppo musicale, accusati di far parte del Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (DHKP-C), organizzazione di sinistra considerata illegale in Turchia.
La band musicale fu fondata nel 1985 e aveva inciso 23 album, la band diventando una delle espressioni musicali più importanti in Turchia, ma soprattutto all’estero. Basti pensare ai concerti che ha tenuto in Germania, terra di immigrazione turca per eccellenza. Già da alcuni anni alla band era vietato di esibirsi in pubblico, mentre il loro centro culturale a Istanbul è stato perquisito e chiuso dieci volte negli ultimi due anni. Alcuni dei suoi membri, o persone vicine alla band sono ancora in prigione.
Dopo Helin Bolek è morto anche il compagno di lotta Mustafa Kocak, 28 anni, come gli altri arrestato nel settembre 2017 e rinchiuso nel carcere di isolamento di tipo F di Sakran, vicino a Smirne, il ventottenne è stato condannato l’11 luglio 2019 all’ergastolo insieme all’avvocato Murat Canim per il sequestro condotto da due militanti della sinistra rivoluzionaria turca (Safak Yayla e Bahtiyar Dogruyol) nei confronti del procuratore Mehmed Selim Kiraz a Istanbul (31 marzo 2015).
Kocak è stato accusato di aver fornito le armi per l’azione conclusasi poi con la morte dei due militanti e del magistrato (questa presumibilmente per “fuoco amico”) in seguito al raid delle squadre speciali della polizia. Mustafa Kocak si è spento dopo 297 giorni di digiuno, pesava neppure 30 kg.
Secondo fonti ufficiali è ancora in vita Ibrahim Gökçek 39 anni, bassista di Grup Yorum, in sciopero della fame dal 17 maggio 2019. Accanto a lui altre persone hanno deciso di protestare in questo modo pur di essere ascoltati, gli avvocati Abru Timtik e Aytac Unsal non mangiano da 113 e 82 giorni.
Ovviamente l’intenzione non è quella di morire, ma di contrastare l’ingiustizia con quella che per un prigioniero diventa spesso l’unica forma possibile di protesta e resistenza. Le famiglie di questi condannati a morte dallo stato hanno manifestato tutta la loro rabbia e indignazione, non lasciando i propri congiunti soli in questa ultima battaglia. I genitori di Mustafa Koçak hanno condotto un’azione di protesta in piazza Taksim, a Istanbul, tenendo tra le mani una foto del figlio e un cartello che diceva: “Mio figlio sta morendo a causa dell’ingiustizia”.
L’assurdo di tutta questa storia è che queste persone stanno soffrendo e sono morte, solo per avere il diritto ad un giusto processo. La Turchia li guarda morire giorno dopo giorno, ma non sembra che questo abbia fatto cambiare di una virgola la decisione dello stato di destinarli ad una morte ingiusta e orrenda. Come già altre volte si è detto lo stato di diritto in Turchia è morto prima di loro, la giustizia è soffocata in nome del potere, di un potere personalistico che vede il presidente Erdogan primo responsabile di queste e di altre morti. Questi giovani, figli di Turchia, chiedevano solo un processo equo, una chimera oggi in Turchia, soprattutto dopo il tentato golpe del 2016, a cui il governo ha risposto con una stretta micidiale sui diritti dei suoi cittadini.
Oggi in Turchia si muore, si muore di Stato.