Turchia e dintorni. Prove tecniche di dittatura
16 Maggio 2019[Emanuela Locci]
La Turchia si ripropone alla ribalta delle cronache di questi giorni con l’eclatante notizia che le elezioni del 31 marzo che riguardano Istanbul sono state annullate dal Consiglio elettorale supremo che ha accolto il ricorso presentato dal partito al potere l’Akp. Dopo più di un mese dalle elezioni, in un clima di assoluta incertezza, alla fine è stato deciso di annullare le elezioni che vedevano il candidato dell’ Akp l’ex primo ministro Binali Yildirim, fedelissimo del presidente Erdoğan battuto di misura dal candidato repubblicano Ekrem Imamoğlu. Come prima reazione in molti quartieri di Istanbul le persone hanno deciso di dar risuonare le pentole, in segno di protesta, come accadde nel 1997 e più recentemente nel 2013 dopo le proteste di Gazi Park. Inoltre come immediata conseguenza la lira turca è crollata ulteriormente rispetto ai mesi passati ed è stata scambiata a 6.1075 contro il dollaro.
Questa decisione, non appellabile, è gravida di ulteriori conseguenze e considerazioni. In primo luogo sembra ormai lontano il tempo in cui la Turchia poteva essere considerata una democrazia. Se neanche i risultati elettorali vengono riconosciuti ed accettati questo significa che il presidente e il suo entourage possono in ogni modo influenzare ogni ambito della vita politica del paese. Con questa decisione si mette in discussione la credibilità dell’intero sistema elettorale turco.
L’Akp da parte sua aveva presentato un ricorso perché nei seggi c’erano stati dei brogli causati da persone vicine all’associazione Feto, la stessa accusata di essere responsabile del tentato colpo di stato del 2016. Circa 100 ispettori elettorali sono stati indagati e 43 di essi sono ancora sotto inchiesta. In base a quali prove il consiglio elettorale supremo abbia preso la sua decisione non è dato sapere, l’unica spiegazione conosciuta parla del fatto che “alcuni funzionari alle urne non erano impiegati pubblici”. Quello che è certo è che la poltrona di sindaco della più popolosa e importante città della Turchia è di nuovo vacante, disponibile.
Il risultato elettorale non era piaciuto ad Erdoğan sin dal primo momento, anche perché perdere il controllo di Istanbul aveva un duplice significato, non solo si perdeva una roccaforte dell’Akp, che la governava da circa 25 anni, ma significava anche dare una speranza all’opposizione di poter iniziare un nuovo corso nella politica interna turca, con l’estromissione dal controllo del governo centrale di una città strategica come Istanbul. Infatti erano molti gli oppositori che vedevano in Istanbul e in un sindaco che non fosse espressione del potere centrale un primo passo verso la nuova democratizzazione della Turchia. Inoltre bisogna anche considerare lo smacco nello smacco: secondo alcune indiscrezioni i curdi che hanno votato a Istanbul avrebbero svolto un ruolo non secondario nel determinare il risultato finale.
Le reazioni alla notizia dell’annullamento delle elezioni non si sono fatte attendere e ne sono arrivate da vari fronti: innanzitutto l’opposizione rappresentata dal CHP ha fatto dichiarazioni molto dure sull’andamento della linea politica governativa e sulla mancanza di libertà e di democrazia. Il mancato sindaco Imamoğlu invita alla calma e esorta tutti i turchi che credono nella libertà di esprimere il loro voto il 23 giugno giorno in cui si ripeterà il voto.
Quasi inaspettatamente (ma forse neanche troppo inaspettatamente), sono arrivate critiche anche da quanti erano al fianco di Erdoğan fino a ieri, in particolare Abdullah Gül e Ahmet Davutoğlu che sono stati per anni uomini chiave all’interno del partito e che hanno condiviso con Erdoğan gran parte del potere e delle responsabilità politiche hanno criticato l’operato del presidente e hanno fatto intendere che fonderanno un nuovo partito.
Comunque è tutto da rifare a Istanbul e già si rincorrono voci su possibili brogli da parte governativa. Il 23 giugno, al netto dei possibili brogli sarà una data decisiva per il futuro della democrazia in Turchia. Dalle poche notizie che trapelano sembra che i contendenti stiano affilando le armi, ognuno con i mezzi che più sono congeniali. Lunga vita alla Turchia, quella democratica.
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