Turchia e dintorni. Tansu Çiller, la lady di ferro turca
1 Febbraio 2019[Emanuela Locci]
In questo nuovo appuntamento di “Turchia e dintorni” vorrei esaminare quale è la situazione delle donne turche quando si parla di partecipazione diretta alla vita politica del paese. Ripercorrendo per sommi capi la storia recente della Turchia, partendo quindi dal primo periodo repubblicano, si deve subito notare che le donne sono chiamate a svolgere un ruolo attivo nella vita politica turca. Fino a quel momento infatti, le donne non concorrevano a determinare i destini della nazione, né dal punto di vista politico, né in altri ambiti, visto che erano confinate allo svolgimento delle mansioni caratterizzanti il genere “femminile”, che riguardavano più la sfera privata e familiare, che non quella pubblica. Con le riforme kemaliste degli anni Venti-Trenta del secolo scorso, la situazione femminile migliorò sensibilmente. Questo miglioramento consisteva in una maggiore visibilità delle donne anche nella sfera pubblica e di conseguenza nella vita politica vera e propria. Dalla metà degli anni Trenta, grazie al diritto di voto attivo e passivo furono elette le prime donne deputate, sindache, ecc. si deve però notare che questa visibilità e il lavoro svolto dalle donne che rivestivano questi incarichi, non erano visti solo come un miglioramento di quelle che oggi definiamo “questioni di genere”, ma erano percepite come un servizio che le donne svolgevano in favore dello Stato. La nuova Turchia doveva dimostrare all’occidente di non essere più legata al suo passato, considerato arretrato, e di voler entrare nel novero delle nazioni moderne. Quindi il nuovo ruolo politico femminile era strumentalizzato in funzione statale, in vista di un rafforzamento delle posizioni kemaliste, sia a livello interno, si pensi alla contrapposizione con il mondo religioso, sia a livello internazionale, per un accoglimento della Turchia tra i paesi moderni.
Dopo le grandi riforme kemaliste, non si è registrato nessun grande cambiamento nella condizione femminile, anche perché questo tipo di metamorfosi hanno bisogno di tempi molto lunghi per essere metabolizzati e poter dare dei frutti tangibili in seno alla società civile.
Bisognerà attendere gli anni Novanta perché si registri un vero e proprio “scossone”, quando apparve sulla scena politica nazionale una donna che avrebbe guidato il paese per un certo periodo di tempo, anche la Turchia, ha avuto la sua donna di ferro: Tansu Çiller. Nata a Istanbul nel 1946, dopo essersi laureata in materie economiche all’Università del Bosforo si trasferì negli Stati Uniti dove conseguì prima un master alla New Hampshire University e poi un dottorato alla Connecticut University. Tornata in patria, insegnò economia all’Università del Bosforo. La sua carriera politica ebbe inizio quando un importante uomo politico, Süleyman Demirel, le chiese di entrare nel suo partito, il Partito della Retta Via, chiamandola a ricoprire dal 1991 il ruolo di Ministro (senza portafoglio) dell’Economia.
Dal 1991 la Çiller iniziò la sua scalata al potere, a ottobre assume l’incarico di Sottosegretario all’Economia e nel 1993 fu eletta leader del Partito della Retta Via al posto dello stesso Demirel, che ne frattanto era stato eletto presidente della repubblica.
La carriera politica della Çiller ebbe inizio in un momento particolarmente delicato per la Turchia che era attanagliata da pressanti problemi economici e che doveva convivere con le problematiche legate alla questione curda, considerata di cruciale importanza per il governo.
Considerando che il partito guidato dalla giovane economista era il partito maggioritario nella coalizione con i socialdemocratici, essa si candidava automaticamente alla carica di Primo Ministro, infatti, il Presidente Demirel le diede l’incarico il 15 giugno 1993. L’incarico dato alla Çiller ha provocato reazioni sia all’interno degli ambienti politici nazionali sia nelle rappresentanze diplomatiche estere. Gli osservatori erano quasi tutti concordi nel ritenere che l’ingresso della Çiller nella vita politica turca abbia avuto un duplice significato, fu in primis un indicatore del ricambio generazionale dei politici che fino a quel momento avevano retto le sorti della nazione, e inoltre offrì una nuova visione della donna nella società turca. Fu considerato significativo il fatto che in un paese musulmano, anche se con un governo che si dichiarava aconfessionale, sia una donna a governare, prima volta nella storia della Turchia, e per ora anche unica.
L’elezione della Çiller non ha solo rappresentato una novità dal punto di vista politico, ma è anche uno spartiacque nella lotta di milioni di donne che all’interno delle loro società lottano per essere rappresentate politicamente. L’elezione ha delineato una rivoluzione in un paese in maggioranza musulmano dove fino a questo momento le donne sono state sotto rappresentate e il loro ruolo è stato considerato subalterno rispetto a quello maschile.
Senza voler entrare nel merito della sua gestione politica durata a fasi alterne dal 1993 al 1998, rimane il fatto incontrovertibile che la sua esperienza è stata un esempio, che ha dato nuovo slancio alla delicata questione della modesta rappresentanza femminile in politica e nei luoghi di potere strategici.
Certo ancora molto si deve fare, perché effettivamente le donne abbiano accesso alla partecipazione politica attiva e che soprattutto riescano un ruolo di potere effettivo. In tal senso un passo avanti è stato compiuto con una seconda grande ondata di riforme è avvenuta a partire dal 2001 quando è stato modificato il codice civile turco, seguito dal codice penale (2003) per arrivare al 2004 quando all’articolo 10 della Costituzione è stata aggiunta la frase “le donne e gli uomini hanno uguali diritti e lo stato è responsabile di prendere tutte le misure necessarie a realizzare l’uguaglianza tra uomini e donne”. Ci si augura che queste parole non siano lettera morta.
Secondo il rapporto del Woman Statistics Report, fino al 2013, la partecipazione politica il numero di donne in parlamento è cresciuto da 24 a 79 su 550, in termini percentuali significa che dal 4,4% si è passati al 14,3% . Le donne sindaco sono passate da 18 a 37 e il tasso di donne nelle giunte cittadine è passato dal 2,3% al 10,7%.
Questi numeri non bastano, la situazione infatti non è migliorata negli ultimi anni, anche a causa delle dichiarazioni governative, che richiamano le donne al loro ruolo tradizionale in seno alla famiglia e lontana dalla scena politica.
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