Tuvixeddu e l’articolo 9
16 Marzo 2011Marcello Madau
La questione Tuvixeddu si riapre. La discussione è vivace, ma il suo destino non ci sembra scritto da una sentenza, nè tutto sarà automaticamente risolto. Ci è sembrato giusto dare conto del dibattito in atto con tre interventi che documentano letture e griglie diverse, consapevoli che la ricchezza del dibattito, al di fuori di logiche di fazione, rafforzi piuttosto che indebolire la battaglia comune per la quale da anni ci spendiamo.
La recente Sentenza del Consiglio di Stato (n. 1366/2911) nei suoi contenuti segna un’adesione importante alla evoluzione del concetto di paesaggio culturale, diversamente dalla limitata ed erronea lettura dei beni culturali e paesaggistici contenuti nella sentenza TAR Sardegna 128_2008. Anche se quest’ultima non deve stupirci, poiché probabilmente più adeguata, se non alla dottrina dei beni paesaggistici ed alla sua evoluzione concettuale e scientifica, alla visione nel paese prevalente sulla tutela ed alla sua presunzione di sostituirsi agli specialisti del settore.
Credo che sia così, e che si debba partire senza temere, e neppure spaventarsi, di essere minoranza. Ci sono voluti decenni per non esserlo troppo, e forse dovremo riacquistare la capacità – data solo da passione, competenza e pratica della democrazia – di ricostruire la trama della cultura nei territori conquistando persone.
Sono anche convinto che la sensibile differenza di concezioni sulla città possibile e sulla tutela del paesaggio urbano non coincida con la differenza dei punti di vista espressi dalle succitate sentenze del TAR Sardegna e dal Consiglio di Stato (per alcuni, i cattivi da una parte, i buoni dall’altra), e neppure sia possibile trovarla nelle diverse letture di chi ha accolto favorevolmente l’ultima sentenza del Consiglio di Stato: a quelle attente, con accenti anche sensibilmente diversi, alla problematicità delle conseguenze sostanziali contenute nell’impianto giuridico, si sono affiancate posizioni che si sono permesse di trattare, in maniera decisamente settaria, poco meno che come un amico dei cementificatori chiunque dubitasse di un successo giuridico visto, con spirito di revanche, come un successo politico da incassare.
Il problema non è se Tuvixeddu si salverà a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, ma se e come Tuvixeddu, e in genere il patrimonio archeologico e paesaggistico (soprattutto quello inserito in quadri urbani complessi), si salverà nel contesto storico e politico entro il quale la sentenza si inserisce.
Che il contesto sia oggettivamente uno dei peggiori possibili ed immaginabili appare evidente. Gli accordi auspicati nella sentenza fra Comune e Regione avverrebbero oggi fra due amministrazioni di centro-destra che non hanno certo brillato nella tutela di Tuvixeddu e dei beni culturali.
In un quadro più ampio, i tagli alla cultura – e al sistema nazionale della tutela – sono feroci. Persino il fedelissimo Ministro per i Beni e le Attività Culturali sta per andarsene e ieri Andrea Carandini, Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali dello stesso Ministero si è dimesso (se ciò è successo, si è davvero fiutata puzza di bruciato).
Molti però non conoscono bene quello che sta succedendo dentro il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, soprattutto dentro gli organi periferici dello stesso, deputati alla tutela territorio per territorio. La classica inadeguatezza quantitativa delle risorse professionali, particolarmente severa in Sardegna per la rete dei suo ventimila monumenti, presenta oggi un dato ancora più preoccupante. Che si aggiunge alla già nota serie di debolezze strutturali: soprintendenti ‘a scavalco’ su diverse sedi, pochissime auto di servizio per andare nel territorio, spese non rimborsate nell’uso dei mezzi propri, missioni e straordinari non pagati (che a volte generano strane voci di bilancio negli interventi degli enti locali, un malcostume in ogni caso inaccettabile), attività ben oltre il limite dello stress fisico, rischi crescenti (i tombaroli non esitano ad usare l’esplosivo). Certe volte si ha l’impressione, andando nelle soprintendenze, di aggirarsi in un deserto di stanze e locali con qualche funzionario e impiegato (nonostante tutto in grado di iniziative straordinarie come quelle attuali in corso, ad esempio, nel Museo Sanna di Sassari: “Memorie dal sottosuolo” e “SESTOS – L’abbigliamento Femminile Popolare di Ittiri fra Tradizione e Moda”).
Il fenomeno che mi pare stia erodendo dall’interno gli uffici della tutela è l’invecchiamento del quadro lavorativo, il suo pensionamento progressivo e la mancanza assoluta di turn-over. Così si perde la memoria lavorativa, si rallentano, sino alla paralisi, le funzioni. La distruzione del patrimonio ha via libera. Neppure quei pochi vincitori di concorso vengono assunti, tant’è che è attualmente attivo un ‘Comitato idonei concorso MiBAC’.
In questo senso la speranza aperta dalla sentenza del Consiglio di Stato per Tuvixeddu e, in linea generale, per il nostro patrimonio archeologico e paesaggistico, naviga in uno spazio che vede Soprintendenze assai indebolite e oggettivamente più in difficoltà nell’assumere iniziative forti. Più facilmente esposte a pressioni e a mediazioni, o a non escludere, pur di avere un po’ di ossigeno finanziario, idee inaccettabili come quelle di Nur.At. Che sorte spiacevole per il sistema costruito nel dopoguerra da uomini come Bianchi Bandinelli, Argan, Cederna.
Se abbiamo a cuore ciò che dice l’art. 9 della Costituzione italiana “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (a differenza del Risorgimento, uno dei tesori che danno un senso reale alla festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia), dovremo costruire un’azione sociale e politica per non lasciare sola la tutela, per non farle scordare la migliore tradizione di intransigente difesa del nostro patrimonio. Nel nostro caso ribadendo e se necessario chiedendo l’ampliamento dei vincoli nel sistema Tuvixeddu-Tuvu Mannu, la massima vigilanza sui luoghi e alzando di nuovo la voce contro l’uso improprio e volgarmente economicistico del bellissimo anfiteatro romano di Karalis.
***
Un aspetto delicato è quello portato dalle rappresentanze politiche, perché i beni culturali e tipologie fondamentali per il patrimonio dell’isola come quelli archeologici e paesaggistici, fortemente intrecciati tra di essi, sono generalmente assenti nei loro programmi e pensieri.
La situazione di Tuvixeddu rischia di riprodursi, al di là delle sentenze, per moltissimi contesti e monumenti, ed è anche lo specchio di un gravissimo ritardo della classe politica, dell’incapacità di vedere nella città contemporanea un ruolo centrale e non da arredo, del paesaggio storico, di assumerlo come traccia attorno alla quale costruire una città diversa. Del restare in superficie. Del non pensare al sottosuolo e ai suoi insegnamenti memoriali. Di alzare gli occhi non per guardare il cielo ma ciò che racchiudono tetti, cornicioni e marcapiano.
Da queste considerazioni non del tutto ottimistiche sulle prospettive di Tuvixeddu e del nostro patrimonio culturale e paesaggistico, nasce la necessità di una politica nuova e profondamente democratica, che dia legame a tutti i soggetti impegnati professionalmente e in modalità associative; per rispondere al furibondo attacco alla cultura e ai suoi beni comuni serve una rete che operi in tutti i territori.
Vi è stata un’idea importante di ciò nelle settimane scorse, con l’iniziativa ‘Abbracciamo la cultura’. Dove in Sardegna ha funzionato, come a Sassari, ciò è avvenuto perché la rete è stata davvero ampia e significativa, senza qualche piccolo leader che si sostituisse ad essa: archeologi, bibliotecari, numerose associazioni culturali, dirigenti delle soprintendenze, dipartimenti universitari, sindacati come la CGIL non collaborazionisti con Bondi e Gelmini.
Una rete che, in attesa che questa destra allucinante venga cacciata, non aspetti riscosse non esattamente probabili, almeno ora, dalle politiche della sinistra ma sappia costruire, nella società e nel territorio, un’alleanza coordinata per la difesa del patrimonio culturale e paesaggistico assieme agli enti territoriali e le istituzioni della tutela e della ricerca, assieme alla scuola pubblica.
E’ facile, e sospetto, dire che lo Stato non tutela i nostri beni archeologici, teorizzare il passaggio di competenze alla Sardegna e nel contempo strizzare l’occhio a tombaroli, falsari e inventori di miti falsi e reazionari. E’ un fenomeno preoccupante, e in qualche tratto anche l’esperienza di Renato Soru ha percorso tale traccia. Vi è chi crede sinceramente e in maniera democratica ad un sistema di gestione e tutela non italiano, bensì sardo: ma intanto il patrimonio si sta degradando in maniera irreversibile, e in attesa di una eventuale liberazione – che comunque non è dietro l’angolo – le esigenze di una battaglia unitaria di chi ha cuore la cultura e l’identità reale del nostro territorio sono immediate.
17 Marzo 2011 alle 07:09
Nel mentre che arrivi dall’alto l’ ennesima sentenza che confermi quello che la sentenza del Consiglio di Stato del 3 marzo ha dichiarato, lasciamo che mr. Cualbu continui a fare i suoi lavoretti su Tuvixeddu. Oppure (e credo sia il caso anche per questioni di amor proprio) chiediamo concretamente alla Regione e al Comune che vengano definitivamente interrotti tutti i lavori in corso. Perchè da Cagliari mi giungono voci che nel cantiere del palazzinaro ci sia una certa attività. O dobbiamo consolarci che con questa recente sentenza probabilmente Cualbu sarà l’ultimo a poter fare le sue costruzioni su Tuvixeddu?
17 Marzo 2011 alle 08:51
Sono assolutamente d’accordo, si deve fare. Come ho scritto, ho qualche dubbio sull’apertura di queste amministrazioni, ma questo tipo di realtà non deve – anzi – interrompere l’iniziativa politica. E credo che si debba chiedere subito una presa di posizione alla Soprintendenza Archeologica. Le risposte di enti ed istituzioni vanno sollecitate, e la loro replica, soprattutto dal punto di vista giuridico, sarà sicuramente utile.