Tuvixeddu in premio
1 Settembre 2008
Marcello Madau
Chiunque vedesse per la prima volta la necropoli di Tuvixeddu – senza sapere di accordi di programma, del dott. Santoni e della prof. Mongiu, senza conoscere Soru o Clement, TAR o Consiglio di Stato – stenterebbe ad avere il minimo dubbio sulla necessità di una tutela integrale della necropoli. Eppure la comprensione e la coscienza della risorsa, dalla quale discenderebbe tale necessità, non appare prevalente. Particolarmente nella politica. Mentre Tuvixeddu rischia di morire, l’occupazione preferita è attaccare Soru o appoggiare Soru, o dare grottesche solidarietà a tutti tranne che a Tuvixeddu. I tentativi di porre al primo posto comprensione, coscienza e tutela sono una pratica difficile. Venimmo criticati quando ospitammo nei numeri 21 e 22 (marzo 2008) articoli firmati da alcuni fra i più accreditati studiosi sulla questione, rimproverati perché non capivamo che la questione più importante fosse quella dello scontro istituzionale. Reazioni che dimostravano – al di là di qualche scoria meccanicistica – il deficit di comprensione e coscienza prima indicato.
Latitanza non senza conseguenze, poiché pone sullo stesso piano i gravi errori procedurali della Regione Sardegna e la visione speculativa sull’area di Tuvixeddu-Tuvumannu, il tentativo di salvare la necropoli e la correttezza formale dell’accordo di programma del 2000. Ritiene più gravi gli errori di Soru che la perdita dello strabiliante contesto archeologico.
La necropoli intanto sta lì, i cantieri hanno ripreso senza essere fermati, le tombe sono aumentate di quasi un migliaio (o forse di più) rispetto alle 1200 precedentemente computate. Il caso è diventato più grave, dai tempi della sentenza del TAR, ma ora c’è molto più silenzio. Per molti intellettuali evidentemente Tuvixeddu è meno remunerativa della direzione di un evento, di un festival, di una mostra. Dovrà significare qualcosa il duro cambio di governo, le turbolenze presenti, quelle annunciate future. Forse anche per l’ex-soprintendente dott. Santoni, le cui affermazioni rese nella recente intervista sull’Unione Sarda sarebbero addirittura, secondo alcuni, una prenotazione per futuri possibili scenari politici.
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Adesso la situazione è assai intricata, e offre non pochi paradossi.
Nel paese che vanta le migliori tradizioni di tutela (e alcuni fra gli scempi più dolorosi) del patrimonio culturale, anche lo Stato appare assai debole. In un gioco di specchi (viziato da tentativi pasticciati di autonomia) si pensa ad un acquisizione pubblica dell’area, che dovrà pur tener conto di quanto prevedono le leggi nazionali. Ma la tutela tradizionale, compromessa dal gravissimo errore dell’ex soprintendente, non dà piena garanzia. L’ex-soprintendente Santoni, nella sua recente intervista, rivendica di essere stato l’unico, nei lavori della Commissione Regionale del Paesaggio, ad essersi opposto al vincolo allargato su Tuvixeddu. Si prende le ragioni formali, ma non gli competono quelle di sostanza sull’ampliamento del vincolo, alle quali in realtà appare essenzialmente interessato e sulle quali il Consiglio di Stato non si è espresso (ma ha aperto spiragli). Nella commissione, soprintendenti più competenti e gerarchicamente a lui superiori hanno preso posizioni ben diverse. Il dott. Santoni afferma che il problema non era archeologico, ma paesaggistico: magnifico, infatti chi era competente su tale aspetto (non lui, soprintendente archeologo) ha ritenuto che il “suo” vincolo andasse ampliato.
Oggi si parla di risarcimenti, di danni da pagare. La Regione, Soru, addirittura i funzionari. Ma quanto si dovrebbe chiedere allo Stato per le sue autorizzazioni, comprese quelle che hanno permesso lo scempio dell’anfiteatro romano di Cagliari? E nel risarcimento di tali errori dovremo inserire anche i Ministri per i beni e le attività culturali che condivisero vincoli, interventi e accordo di programma, ovvero Walter Veltroni e Giovanna Melandri??
Oggi lo Stato appare il convitato di pietra, rispetto a Tuvixeddu. Che si crei, nella Soprintendenza Archeologica, una situazione di coraggiosa discontinuità e un’inversione di tendenza è molto difficile: lo impediscono rapporti, spirito di corpo, preoccupazioni anche comprensibili di collocazione in un luogo dove tutto ancora assomiglia alle vecchie carriere militari. Ti possono spostare in una ‘caserma punitiva’ da un momento all’altro. E’ un destino difficile quello della necropoli, fra interessi di fazione politica, risarcimenti vari, parabole personali di pochi funzionari esposti a tutto anche perché sottopagati.
Ma i paradossi non si esauriscono: nel suo ultimo comunicato Italia Nostra ci informa che al costruttore, grazie ai prevedibili – benché negati in giudizio – ritrovamenti è stato offerto in ricompensa, dallo stesso Ministero, un premio di rinvenimento. La questione appare di grande interesse morale e giuridico: ma non mi soffermerò più di tanto sul paradosso (morale) che i soggetti che concorrono alla cementificazione del colle possano essere premiati dallo Stato che lo dovrebbe tutelare. Quanto su alcuni aspetti giuridici: in quale delle categorie previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio andrebbe collegato, ad esempio, il premio (“Art. 92. Premio per i ritrovamenti”:
1. Il Ministero corrisponde un premio non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate:
a) al proprietario dell’immobile dove e’ avvenuto il ritrovamento;
b) al concessionario dell’attività di ricerca, ai sensi dell’articolo 89;
c) allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi previsti dall’articolo 90.) ?
E, nel caso sia stato ritrovamento fortuito (art. 90), se la segnalazione è stata fatta, come prevede l’articolo di legge, entro le 24 ore. Sarebbe interessante porre la questione chiedendo risposta entro i termini della Legge sulla trasparenza (legge 241/1990).
Ancora più interessante è capire quanto vale una tomba punica, se in sostanza il suo valore è corretto secondo il mercato, o se invece non si tratti, come spesso succede in questo capitalismo assistito, di un prezzo politico. Basterebbe conoscere l’ammontare dell’eventuale premio di rinvenimento liquidato e declinarlo per un quarto o la metà (art. 92, commi uno e due).
Il paradosso del valore dei reperti archeologici, teoricamente fuori mercato ma – quando vanno fissate le assicurazioni per i trasporti o i premi di rinvenimento – praticamente collegato a quelli del mercato clandestino delle opere d’arte, diventa ancora più grande nel fissare il valore di una tomba ipogeica. Qualche anno fa un collega della Soprintendenza mi disse che bisognerebbe ricostruire quanto tempo ci vorrebbe, alle tariffe odierne sindacali per realizzarla (aggiungo che a tali costi lavorativi andrebbero sommati quelli dell’edificio di pregio: con o senza ICI? Mauro Pili & co. si sono ricordati di porre al saggio Calderoli questo problema autonomistico?).
Ma non basta: il premio, come stabilisce il ‘Codice’, è stato/sarà in denaro o con parte delle cose ritrovate (a lume di naso e visto i fatti, potrebbe essere questo secondo caso…), o ancora con credito d’imposta di pari ammontare? Un bel rompicapo.
Forse la via più breve è tornare alla consapevolezza che il complesso paesaggistico di Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis, incardinato sulla prodigiosa necropoli punica ma che arriva sino a (sopravvissute anch’esse) villette liberty, è un bene comune, pubblico, da tenere fuori da ogni appetito edificatorio speculativo. Proprio perché così acquisterebbe il suo corretto e più potente valore urbanistico.
In questo pericoloso vuoto di tutela, i cantieri in azione dovranno essere sorvegliati da mille occhi, naturali e digitali. Vogliamo ancora sperare che il buon senso prevalga, che una volta compensati i diritti dei privati maturati per legge, tutti, dal Comune alla Provincia alla Regione al Ministro (supportato dagli organi periferici dello Stato), tolgano Tuvixeddu dal mercato politico ed economico e la ripropongano come uno dei più luminosi fari delle antichità mediterranee, offerte dalla bellissima Cagliari.
5 Settembre 2008 alle 05:08
Caro Marcello, il tuo appassionato intervento è viziato da una polemica sterile quanto ingiusta: nessuno di noi ha dato prevalenza ai temi della legalità, scordando Tuvixeddu. Abbiamo semplicemente detto che una tutela maldestra, trasfusa in atti palesemente illegittimi, equivale ad una corresponsabilità nello sfascio. E il rumore delle ruspe pronte all’azione lo dimostra. Per di più la Regione sarà esposta a onerosi risarcimenti; questi esborsi, se disposti ex ante, forse avrebbero avrebbero consentito transazioni capaci di scongiurare gli attuali pericoli mortali.
Bada poi che il Tar ed il Consiglio di Stato non hanno rilevato solo vizi procedurali, peraltro, marchiani, ma anche gravi vizi sostanziali: il nucleo centrale delle due decisioni si fonda sulla convinzione che i provvedimenti adottati dalla Giunta regionale più che alla tutela del Colle fossero diretti a fermare un intervento in favore di un altro, anch’esso distruttivo.
Ci sarà tempo per conoscere risvolti non noti della vicenda che mostrano come esistessero vie, poste all’attenzione dell’esecutivo regionale, per salvare il Colle, vie non praticate per testardaggine e insipienza o chissà per quale altra ragione.
Comunque ora occorre la mobilitazione, che tuttavia per essere ampia e sciolta dev’essere correttamente impostata oppure deve lasciar da parte gli elementi controversi di valutazione della vicenda pregressa. Prendiamo semplicemente atto che questo è il risultato dell’azione delle istituzioni.
5 Settembre 2008 alle 17:45
Caro Andrea, come hai notato, nella vicenda Tuvixeddu, abbiamo considerato prevalente l’aspetto della salvaguardia del colle. Al tempo stesso abbiamo sempre indicato e sostenuto i temi della legalità. Ci sembra che i rilievi del CdS, anche pesanti, siano procedurali e amministrativi, non parlano nè presuppongono come distruttivi i progetti pensati dalla RAS, anch’essi peraltro da noi criticati. Perciò, di fronte all’importanza del bene comune e alla necessaria unità ci sembra sterile continuare nell’esercitazione Soru/Regione sì, Soru/Regione no. Va anche detto che la giustizia ha fatto il suo corso, ma anche le ruspe, che hanno amici, come appare evidente, tanto a destra quanto a sinistra: in ciò l’errore dell’attuale Regione, che ha prodotto effetti negativi, non è certo maggiore, nè uguale, a quello del Soprintendente Santoni, del Comune di Cagliari, della precedente RAS e dell’accordo di programma 2000, dal quale le ruspe dipendono. Senza l’azione successiv a le ruspe avrebbero continuato in tutta tranquillità.
Vedi Andrea, in tutta questa vicenda il Comune di Cagliari e l’impresa Cualbu sembrano vittime sacrificali di chissà quale complotto: sono in realtà responsabili di uno scempio che potrebbe ancora essere evitato soprattutto se ci sarà un impegno da parte dei cittadini e delle organizzazioni democratiche. Perciò concentriamo le nostre energie per fare in modo che Tuvixeddu venga salvaguardato.