Umberto Cardia: il pensiero necessario
5 Febbraio 2023[Claudio Natoli]
Il volume Il pensiero necessario costituisce l’occasione per un rinnovata riflessione complessiva sulla figura di Umberto Cardia a quindici anni da quella che era stata promossa nella raccolta di scritti e testimonianze Umberto Cardia: la cultura e l’etica (Tema, Cagliari, 2006), curata da Eugenio Orrù e Nereide Rudas, altri due protagonisti della storia del Partito comunista in Sardegna che gli erano stati molto vicini e che qui mi sembra importante ricordare.
Esso raccoglie una vasta pluralità di interventi che qui non è possibile citare singolarmente e che ben a ragione i due curatori, Paolo Lusci e Giuseppe Marci, hanno costruito, attorno a due assi centrali: e cioè il pensiero politico e l’elaborazione culturale di Cardia. E questo perché i due ambiti furono indissolubilmente collegati nel suo intero percorso di vita. In questo egli rappresentò, in Sardegna, ma non solo, uno dei tratti più rilevanti nella storia del PCI e nel suo rapporto con la società italiana. Esso si collegava al lascito di Gramsci, e, attraverso il contributo di Togliatti, in un percorso segnato anche da non poche tensioni e contraddizioni, lasciò innegabilmente una traccia profonda nella storia del “partito nuovo” e in quella degli intellettuali italiani nel secondo dopoguerra. E qui si inserisce anche il terzo corollario del percorso di Cardia, e cioè la concezione “alta” della politica come “ scelta di vita” e come impegno ideale, culturale, civile, che connotò le generazioni dell’antifascismo e della Resistenza e animò la stagione della Costituente e la rinascita democratica e civile del’Italia dopo la catastrofe della guerra e del nazifascismo. Mi sentirei di aggiungere che questo modo di intendere la politica nella cosiddetta “Seconda Repubblica” pare essersi irrimediabilmente perduto.
Nella storia del PCI in Sardegna questa realtà virtuosa fu impersonata al più alto livello da Enzo Laconi, ma anche da Umberto Cardia, senza con ciò dimenticare altre rilevanti figure, e cito per tutti, facendo torto a molti, Girolamo Sotgiu, che fu insieme dirigente politico e sindacale e studioso di storia. Ora proprio il rapporto tra Laconi e Cardia, ed è questo il primo punto che vorrei segnalare, è a giusto titolo uno dei temi ricorrenti del volume, e ciò con particolare riferimento al nesso inscindibile, comune ad entrambi,tra autonomia e Rinascita della Sardegna. E’ questo il filo rosso che collega il Congresso del Popolo sardo del 1950 con le battaglie contro le inadempienze costituzionali e l’involuzione centralistica delle giunte regionali a giuda DC negli anni ’50 e per la ridefinizione del Piano di Rinascita agli albori del centro-sinistra.
Ma qui vorrei sottolineare un secondo aspetto comune a Laconi e a Cardia, che emerge nel saggi di Sandro Ruju e di Roberto Ibba come già in precedenza negli studi di Maria Luisa Di Felice: e cioè l’acuta percezione, in Laconi come in Cardia, che l’impianto della grande industria nell’Isola non si conformasse a logiche privatistiche e non riproducesse la realtà delle “cattedrali nel deserto”, laddove, invece, avrebbe dovuto rispondere ai principi di una programmazione democratica guidata dai poteri pubblici tramite la centralità dell’istituto della Regione: così da promuovere uno sviluppo equilibrato anche delle aree interne e della piccola e media industria, un coinvolgimento delle comunità locali, una profonda riforma agraria rivolta alle istanze dei coltivatori diretti e del mondo pastorale, una legge urbanistica che colpisse la speculazione edilizia e regolasse gli insediamenti turistici, pur nel quadro della convergenza più ampia tra tutte le forze progressiste e autonomiste. In questo a me sembra sia dato cogliere, da parte di Laconi e Cardia, un’elaborazione autonoma nel quadro del confronto sulle riforme di struttura e sul “nuovo modello di sviluppo” che investì il gruppo dirigente del PCI dopo la morte di Togliatti e che sarebbe approdato alla “resa dei conti” contro le istanze di rinnovamento che venivano dalla sinistra del partito all’XI Congresso del gennaio 1966.
In tale scenario Cardia svolse un ruolo importante non solo come consigliere alla Regione e segretario regionale del PCI, ma anche come direttore della terza serie di “Rinascita sarda”: come mostra nel suo contributo Laura Pisano, la rivista sarebbe divenuta in quegli anni un laboratorio di confronto e di idee per gli esponenti (anche cattolici) di tutta l’area progressista, pubblicò inchieste sul campo sui mutamenti in atto nella società sarda e sul banditismo, ospitò dibattiti di segno eterodosso su Gramsci e la storia del PCI in occasione dell’uscita dell’innovativa biografia di Giuseppe Fiori (Laterza, Bari, 1966), aprì alle avanguardie artistiche, promosse un’azione culturale a tutto campo rivolta alla crescita della società.
Altra cosa è riflettere sulle affinità e differenze tra Laconi e Cardia riguardo al modo di intendere e di declinare l’autonomia sarda. Comune ad entrambi era la lettura di Gramsci della questione meridionale non solo in termini di arretratezza economico-sociale legata alle modalità dell’unificazione nazionale e al modello di sviluppo del capitalismo italiano, ma anche in termini territoriali, il che comportava la sottolineatura della soggettività autonoma e dell’autogoverno di quelle popolazioni. E comune era anche il fermo richiamo all’unità della nazione, che sarebbe stata rafforzata dalle autonomie regionali e dalle autonomie speciali in quanto forme di una più intensa partecipazione democratica, e quindi il categorico rifiuto di ogni forma di chiuso nazionalismo e di separatismo. E comune era infine la centralità attribuita alle profonde radici storiche dell’autonomia della Sardegna e la necessità di portarle alla luce e di valorizzarle in una costante tensione tra conoscenza storica e azione politica. E tuttavia, proprio su quest’ultimo punto sono individuabili anche significative differenze di metodo e di merito tra Laconi e Cardia. In Laconi, infatti, con un approccio più vicino alla lezione gramsciana, il salto di qualità nella formazione di una coscienza autonomistica in Sardegna era individuato nel moto nazionale e antifeudale di fine Settecento e poi nella riflessione degli storici sardi che aveva accompagnato in Europa i movimenti e gli Stati nazionali e in Italia il Risorgimento, sino alla nascita del Partito sardo d’Azione, con una netta presa di distanza dalle tendenze a retrodatare lontano nei secoli la formazione di un popolo sardo unitariamente inteso.
Cardia, invece, sarebbe giunto a vent’anni di distanza dalla morte di Laconi ad individuare nell’autonomismo sardo il deus absconditus dell’intera storia della Sardegna dalla prima formazione dei Giudicati sino alla nascita dell’autonomia speciale nell’Italia repubblicana, fino ad individuare nel Regno di Sardegna di Barisone I il primo organico tentativo di realizzare l’unità di popolo e nazione nella storia dell’Isola. Su questo punto, senza con ciò voler essere in alcun modo dissacrante, ho l’impressione che Cardia, nella sua tensione a coniugare tradizione e progettazione del futuro, sia stato spinto ad inoltrarsi sui percorsi di “invenzione della tradizione” mirabilmente ricostruiti in una celebre opera di Eric Hobsbawm: e del resto, nei limiti di questo intervento, non ho nulla da aggiungere a quanto scrive Giangiacomo Ortu nel bel saggio pubblicato in questo stesso volume. Il che, naturalmente, nulla toglie al grande valore delle imprese scientifiche progettate e promosse da Cardia, a cominciare dalla pubblicazione degli Atti dei Parlamenti sardi in età medievale e moderna, sino al Catalogo ragionato degli scrittori sardi dal IV al XX Secolo.
Nella seconda parte del mio intervento vorrei però soffermarmi sulla nuova cornice nazionale ed europea in cui Cardia maturò una più compiuta concezione dell’autonomia, sino ad approdare all’idea di autonomia integrale della Sardegna: un percorso che fu scandito dalle sue esperienze di parlamentare italiano e europeo e di presidente del Gruppo comunista nella Commissione esteri della Camera dei deputati. E qui il punto di riferimento della sua riflessione è costituito senza ombra di dubbio dall’apertura all’Europa, e questo sotto due punti di vista: il primo riguarda la centralità del ruolo autonomo dell’Europa sulla scena internazionale in un auspicato clima di disarmo, di pace, di dialogo, di distensione e di superamento delle contrapposizioni tra i due blocchi; il secondo investe la costruzione di un rapporto radicalmente nuovo tra l’Europa e il sud del mondo, e segnatamente nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, nel segno del rigetto dell’eredità del colonialismo e del neocolonialismo e, per converso, della cooperazione paritaria ai fini del superamento di ogni visione etnocentrista, degli squilibri e delle disuguaglianze, della promozione del progresso e del confronto e dello scambio tra diverse culture.
Non è difficile cogliere qui gli echi del Rapporto Brandt e della elaborazione più avanzata sviluppata in quegli stessi anni nell’ambito dell’Internazionale socialista e successivamente delle aperture gorbacioviane sul “mondo nuovo” che sarebbe dovuto nascere dopo la fine della “guerra fredda” intrise di venature umanistiche. Ma aggiungerei anche le suggestioni dell’eurocomunismo e della ricerca profondamente innovatrice dell’ultimo Berlinguer sul nuovo ruolo dell’Europa e sui nuovi rapporti che si sarebbero dovuti costruire tra Nord e Sud del mondo: e proprio il confronto e l’interazione con Berlinguer potrebbe costituire un capitolo di notevole interesse nella biografia politica e intellettuale di Cardia che a me sembrerebbe meritevole di ulteriori approfondimenti.
E’ in questo scenario di un mondo tendenzialmente pacificato che, dopo la caduta del Muro e nella fase preparatoria della costruzione dell’Unione europea che prende forma l’idea della nuova Europa di Cardia: un’Europa capace di combinare forti istanze sovranazionali e il più ampio riconoscimento delle autonomie ( Cardia usò la formula di Europa delle Regioni), in una struttura di tipo federalistico che avrebbe dovuto connotare anche gli assetti istituzionali degli Stati, come antidoto all’incombente crisi di partecipazione democratica che emergeva già allora nei sistemi parlamentari occidentali, e segnatamente anche in Italia.
Per quanto riguarda la Sardegna, egli prefigurava un nuovo Statuto regionale basato sul pieno riconoscimento della specificità etnico-culturale del popolo sardo, i cui contorni più precisi rimasero indefiniti, ma la cui anticipazione forse più suggestiva fu il progetto di fare di Cagliari il soggetto promotore e la sede di una Conferenza permanente delle isole, delle regioni e delle medie città del Mediterraneo per la cooperazione e lo sviluppo comune: in tale contesto, la Sardegna avrebbe dovuto costituire un laboratorio progettuale come Isola di pace, di dialogo, di collaborazione e di sviluppo comune, un progetto a cui Cardia aveva a lungo lavorato dapprima alla guida dell’ Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo e poi tramite la rivista “Mediterranea”, come mostrano i saggi di Marco Pignotti e Salvatore Mura e di Giorgio Macciotta pubblicati in questo volume.
Certo, la nuova epoca che si sarebbe aperta dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del “secolo breve”, in cui tutti noi siamo ancora immersi, avrebbe ben poco corrisposto alle aspettative di Cardia. Il crollo dell’URSS, l’unilateralismo imperiale degli Stati Uniti, il ritorno della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e la delegittimazione delle Nazioni Unite, il pieno dispiegarsi della globalizzazione neoliberista sotto il segno del predominio del capitalismo finanziario, avrebbero comportato una serie continua di guerre devastanti, a cominciare dall’area mediterranea e dal Medio Oriente, di instabilità, di crisi economiche e di ondate migratorie, l’accentuazione esponenziale degli squilibri e delle disuguaglianze a livello planetario, e infine il precipitare della crisi climatica globale. E anche la nascita dell’Unione europea, pur segnando progressi in altri svariati campi, più che aprire la strada a una forte e autonoma soggettività internazionale e a un’armonica comunità sovranazionale all’insegna dello sviluppo della democrazie e delle autonomie, sarebbe stata dominata da una gestione tecnocratica e monetarista dell’economia giunta a intaccare pesantemente il “modello sociale” europeo, dalla crescita dei movimenti populistici di segno razzista e xenofobo, dal dilagare dei nazionalismi esclusivi e di regimi di segno autoritario da una parte nella Russia (con il suo intreccio tra politica interna e politica estera), ma dall’altra anche in tutta l’area post-sovietica inglobata nell’Unione, per non parlare delle guerre e delle pulizie etniche che già negli anni ’90 avevano accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia.
La tragedia dell’Ucraina e la guerra che si è riaccesa nel cuore stesso dell’Europa ha molto a che vedere con questo scenario più generale e ciò che più colpisce è l’assenza di un’iniziativa autonoma dell’Europa dapprima per prevenire la guerra, e poi per ristabilire la pace e una giusta composizione del conflitto e quindi ricostruire un clima di distensione e di cooperazione nell’intero continente, di fronte all’attuale scenario di totale subalternità dell’Unione europea alla Nato e agli Stati Uniti, all’esasperazione dei nazionalismi, alle spinte bellicistiche e alle contrapposizioni frontali che prefigurano, nel migliore dei casi, una nuova “guerra fredda” a livello planetario di durata illimitata. E’ appena il caso di aggiungere che alla mancata affermazione in Europa del federalismo democratico ha fatto riscontro le reiterata invenzione di “piccole patrie” (penso alla Padania e al secessionismo di Umberto Bossi, ma anche agli infausti scenari che minacciano oggi di aprirsi con l’annunciata “autonomia differenziata”), sino all’irrompere, come in Belgio e in Catalogna, di separatismi e nazionalismi di destra chiusi in se stessi che hanno minacciato e minacciano l’esistenza stessa di entità statali plurisecolari.
Tutto questo, vorrei precisarlo, non sminuisce affatto la figura politica e intellettuale di Umberto Cardia: all’opposto, in un mondo non più “rovesciato” come è quello attuale, alcune sue idee guida potrebbero riacquistare una rinnovata attualità. Si potrebbe anche aggiungere che, anche dopo la dissoluzione del PCI, egli rimase fedele a un’idea di sinistra capace di coniugare politica e cultura ed etica e politica, lettura critica del presente e progettazione del futuro. A me pare che questo nodo, che è rimasto drammaticamente irrisolto da almeno un trentennio, sia oggi anche più attuale di ieri.
Questo articolo riprende il testo dell’intervento di Claudio Natoli in occasione della presentazione del libro Il pensiero necessario. Teoria e prassi nella vita politica di Umberto Cardia, a cura di Paolo Lusci e Giuseppe Marci, Isolapalma, Monastir, 2022, organizzato dal Cenacolo di Tommaso Moro in collaborazione con Il Gremio a Roma il 3 febbraio 2023.