Un milione di pannelli

16 Dicembre 2008

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Marcello Madau

Vi è chi parla di assetto del sistema, chi di crisi profonda e irreversibile del sistema liberista. Forse non siamo in una situazione rivoluzionaria (anche se le premesse per ricomporla non mancano), ma si sottovaluta l’ampiezza e la natura delle questioni economiche e politiche in atto, e si smarrisce, schiacciati in un’ottica difensiva pur comprensibile, l’urgenza di cercare e proporre una prospettiva con il necessario e inevitabile coraggio.
Oggi plaudiamo al coraggio che la CGIL ha mostrato proponendo lo sciopero generale, a quella sostanziale salute della sua storia e composizione sociale che le hanno consentito di resistere e rilanciare, a distanza di pochi anni da un analogo tentativo da parte di CISL e UIL di isolare la CGIL rompendo l’unità sindacale.
La grande battaglia vincente contro il tentativo di modifica dell’art. 18 fu un fatto significativo e determinante. La situazione odierna però, se apparentemente simile (CGIL e CISL ancora alleati, con il supporto ondivago dell’UGL, al governo di centro-destra), presenta importanti differenze: diverso il nodo politico prevalente, l’attacco generalizzato alle condizioni dei lavoratori e il profondo tentativo di privatizzazione del sistema italiano dell’Istruzione, con la nascita dell’Onda, un soggetto non tanto e non solo studentesco, quanto di lavoro cognitivo che non vuole disoccupazione e subalternità. Diversa la situazione della sinistra, politicamente lacerata in tutti i suoi versanti. E quella del Partito Democratico che, attraverso una nuova e insidiosa forma di collateralismo, cerca di svuotare la tradizione di lotta della CGIL attraverso le proprie componenti moderate (ex PPI ed ex DS), non a caso fredde o addirittura contrarie allo sciopero generale del 12 dicembre scorso; dove si pensa – non senza appoggi dentro la CGIL stessa – di anestetizzare verso un orizzonte consociativo e certamente bipartisan assieme a CISl, UIL e centro-destra, la carica oppositiva e rappresentativa del più solido baluardo della tradizione italiana della sinistra.
La sola capacità di resistere a tale schiacciamento è già una vittoria; il saldarsi delle lotte operaie, dei pensionati e del movimento che emerge da tutti i settori scolastici è un’indicazione sulla quale ragionare. Ma la possibilità di risposta alla forza del centro-destra e alla difficoltà generale del sistema liberista nasce da una rilettura delle prospettive di sviluppo con la proposta di nuovi modelli; dall’abbandono, con le opportune tutele e garanzie per il lavoro, di quelli vecchi.
La gravissima crisi del sistema ambientale planetario, il modello crescente di precarizzazione che allarga a sistema mondiale, in forme nuove, la classica necessità del sistema capitalistico di disporre strutturalmente di un’ampia sacca di mano d’opera disoccupata, le difficoltà del sistema finanziario manifestate dalle ‘bolle’ speculative e dalle profonde lacerazioni di grandi compagnie e industrie rispondono a logiche ben più ampie di quelle regionali e nazionali.
Ed è certo utile la riapertura (in questo numero ospitiamo una proposta fatta dai compagni di Sinistra Critica sul salario minimo) della discussione sul diritto all’esistenza, sulle varie forme di ‘salario’ che esprimono tale diritto ancor più minato dall’attacco ai servizi sociali, alla loro scarsa presenza, al loro costo crescente.
Ma in questo scenario il problema delle risorse e delle produzioni energetiche ci appare decisivo, e indica – è presente, ma ancora non centrale, negli ultimi documenti sindacali – una strada per il nuovo modello di sviluppo, produzione e consumo. Il ruolo della Sardegna in tale ambito, e quello della sinistra, pretende che il tema ambientale non sia declinato come parallelo a tanti altri, ma sia centrale, che ad esso vengano legate produzioni primarie (alimentari, quindi agricole e pastorali) pulite, libere da ogm e rispettose della biodiversità.
La sinistra non sembra ancora decisa e pronta a tale salto, eppure non esistono alternative.
Il petrolchimico di Porto Torres rappresenta un doppio dramma: la sorte di migliaia di persone e famiglie, di città, paesi, di una regione; e proprio i modi con i quali è nato e si è sviluppato il petrolchimico raddoppia il diritto degli operai a non essere disoccupati; il fatto che il polo petrolchimico per la nostra isola è stato un errore gravissimo e che una sinistra che sappia porsi con coraggio il problema di un cambiamento programmatico adeguato alla profonda della crisi planetaria, non può continuare a pensare in maniera immutabile ad esso.
In Italia la battaglia su una politica ambientale alternativa è sicuramente centrale. Riflessioni e salti programmatici possono essere generati, a mio parere, dalle nuove realtà dei lavoratori e degli studenti. Il ‘corto circuito’ che fallì fra il 1976 ed il 1977, portando in sé i germi della sconfitta, può con più cautela e attenzione essere re-impostato oggi, a patto che si colga l’urgenza della costruzione di un modello di lavoro e di economia che faccia perno sull’ambiente, sulle produzioni alimentari, sulle risorse energetiche pulite, sull’economia della cultura e del tempo libero (e liberato). La sinistra, anche in una dimensione europea, ha una responsabilità eccezionale, un ruolo prezioso attraverso il quale configurare il suo stesso rinnovamento, perchè il capitalismo nazionale e le sue rappresentanze politiche esprimono la parte più arretrata del capitalismo europeo e fra le più arretrate di quello mondiale, come testimoniano a livello internazionale il disporsi a Poznan della Marcegaglia e di Berlusconi con i paesi più retrivi in Europa (la Polonia) e quelli avversi al protocollo di Kyoto nel mondo (nemici nel produrre copie a poco prezzo delle chincaglierie di marca dell’occidente, amici come inquinatori del pianeta).
A livello nazionale dietro Scajola si modellano lobbies nucleari e lo speculare sabotaggio delle energie pulite, reso evidente dall’attacco di Tremonti alle agevolazioni fiscali per il risparmio energetico (tetti fotovoltaici etc.).

La forza comunicativa necessita di immagini suggestive, meglio se rappresentative di una direzione e, se vogliamo, di un sogno. La fantasia al potere oggi serve più di ieri, di fronte ai grigi e un po’ giaculatori documenti delle varie forze e associazioni della sinistra.
L’Assessore Regionale all’Ambiente, Cicito Morittu, ha lanciato la proposta del milione di alberi: anche se pare che siano pochi è immagine felice e carica di senso nella storia del territorio sardo, delle sue spoliazioni e del suo degrado.
Perché non lanciare quella di un milione di pannelli solari e fotovoltaici?

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