Un piccolo villaggio e una grande città. Lidice (1942) e Hiroshima (1945)
24 Agosto 2021[Marinella Lőrinczi]
Si sono accumulati in questi ultimi giorni, grazie a Facebook e alla presentazione nella stampa nazionale di certi avvenimenti, ricordi improvvisi e reazioni di cui desidero rendere conto, per l’importanza storica dei fatti in sé.
Trovo in Facebook la descrizione del memoriale coi bambini realizzato a Lidice (si pronuncia lìditse). Non sapevo della sua esistenza. Lidice… Lidice, mi viene però in mente, subito, … è una poesia dell’importante poeta romeno Eugen Jebeleanu (1911 – 1991), pubblicata nel 1963. La conoscevo dalla scuola, ma non l’avevo presa in considerazione per le lezioni di lingua romena, perché troppo difficile per i principianti, dal punto di vista formale e lessicale.
Questo piccolo villaggio boemo, che dista una trentina di chilometri da Praga, era abitato nei primi anni ’40 da circa 400 persone, tra adulti, ragazzi e bambini. La Boemia e la Moravia, a seguito dell’invasione tedesca, formavano allora un cosiddetto protettorato del Terzo Reich; la sua guida era retta in quel momento (cioè nel 1942) dal potente gerarca e generale Reinhard Heydrich (1904 – 1942), forse il maggior criminale di guerra dell’epoca nazista e il cui contributo alla “soluzione finale della questione ebraica” è considerato fondamentale.
I materiali in rete su di lui sono innumerevoli. Nel giugno del 1942 subì un attentato organizzato da alcuni partigiani cechi, a seguito del quale, sebbene ferito non gravemente, morì per setticemia. Hitler ordinò personalmente una rappresaglia feroce e totale, che cancellò Lidice completamente, poiché considerata covo dei partigiani attentatori. Tutti gli uomini di Lidice furono fucilati, le donne deportate come forza lavoro, e più di 80 bambini uccisi, quasi tutti nelle camere a gas mobili, al termine di un trasporto disumano in un’altra località. Lidice fu rasa al suolo.
Il poeta Jebeleanu, che probabilmente aveva visitato il luogo dopo la guerra, così lo descrive (lo sto parafrasando): Venivamo da Praga. Era inverno. La macchina sfrecciava sulla strada verso Lidice, quando ad un tratto sterzò di botto e si fermò sul campo. – Cosa ci facciamo, in mezzo al nulla? – chiesi. – E’ qua, disse la guida. – Mi guardavo intorno. – E Lidice? – Qua era. Da Hitler annientata. – Una scatola contiene quanto ne è rimasto: una penna, una moneta, un collare arrugginito per cane, un fischietto, occhiali rotti con stecche di fil di ferro, una fede di rame, una maniglia, un ditale, due pattini da bimbo, una bambola. Un piccolo museo in mezzo al campo deserto custodiva questi pochi resti.
Questa è soltanto una delle azioni di massacri e stermini di massa compiuti dai nazisti, prima, allora e successivamente. Probabilmente il gestore di Alghero, che paragona, sovrappone ed espone, in maniera inqualificabile, la Stella di David fatta esibire obbligatoriamente dagli Ebrei e il green pass, ne sa poco o niente, e la responsabilità principale di questa sconvolgente ignoranza ricade soprattutto sui suoi educatori.
L’ANSA riporta tra virgolette certe sue dichiarazioni, per cui dobbiamo supporre che il cosiddetto artista le abbia effettivamente pronunciate qualche giorno fa, tra un sorriso e l’altro a beneficio dei fotografi: “A suo tempo il divieto di ingresso nei locali pubblici per gli ebrei fondava su convinzioni scientifiche sbagliate, li si riteneva un pericolo per la purezza della razza, ora siamo nuovamente di fronte a un’imposizione fondata su ragioni non scientificamente dimostrate.” Il commento dettagliato richiederebbe un trattato. Ma la rimozione immediata poteva essere compiuta in un secondo.
Eugen Jebeleanu aveva pubblicato nel 1958, prima di Lidice, un lungo poema composto di 24 canti su ciò che aveva provocato la ‘sperimentale’ bomba atomica (la prima su due) sganciata dall’esercito americano (statunitense) su Hiroshima nell’agosto del 1945, la quale, usando le parole di una notizia a stampa immediata, carbonizzò all’istante tutti gli essere viventi della città. Surîsul Hiroşimei, “Il sorriso di Hiroshima”, non narra di “orribili miti e leggende” di chissà dove e quando (come sbrigativamente viene classificato l’argomento dall’autorevole e a quanto pare ora anche autoritario critico e storico della letteratura N. Manolescu, al quale Jebeleanu, in generale, non sta troppo simpatico; p. 932 della I ed.).
Altri invece, in America Latina, continuano a recitare o a cantare o a ricordare le parole di Jebeleanu – tradotte peraltro in molte lingue – ci informano certi articoli. Il poema circola infatti nel mercato dell’usato anche registrato su dischi di vinile. Il documentato articolo di S. L. González offre informazioni preziose anche riguardo alla fortuna latino-americana del poema romeno sull’annientamento di Hiroshima, importante città portuale e industriale. A pp. 78 – 79 si evidenzia in modo particolare il canto 17, Las voces de los pájaros de Hiroshima, che avevo incluso (accanto al Coro dei bambini uccisi, canto 16), ovviamente in romeno, anche nella mia antologia per principianti, non sapendo nulla, allora, di quanto succedeva in quell’altra parte del mondo. Ne do la mia traduzione in italiano:
17. Voci degli uccelli di Hiroshima.
— Ci sono, ci sono?
— Ma chi?
— Ci sono, ci sono?
— Ma chi, ma chi?
— Dove sono?
— Ma chi, ma chi?
— Gli uomini …
— Non so. Guarda, fiocchi di cenere …
Volati via tutti …
— Dove? Dove?
— Non so. Facciamoci il nido.
— Ma dove,
dove,
dove,
dove,
dove? …
In spagnolo: ¿Dónde, dónde están?/ ¿Quiénes?/ ¿Dónde están?/ ¿Quiénes? ¿Quiénes?/ Los hombres./ No sé./ Mira, copos de ceniza … ceniza …/ Han volado todos./ ¿A dónde, a dónde?/ No sé. Construyamos un nido. Sí, un nido … un nido./ Pero ¿Dónde …? Traduzione del poeta Manuel “Manolo” Serrano Pérez (Argentina, 1917 – 2015); cantato da Ginamaría Hidalgo (Buenos Aires 1927 – 2004) su musica di Horacio Guarany (Argentina 1925 – 2017), da ascoltare a https://www.youtube.com/watch?v=wTQpaFfxjs8.
In America Latina si è verificato anche un altro fenomeno molto interessante e significativo. In un articolo del 2012 si racconta, tra le molte altre cose, della fortuna onomastica del nome Lidice, diventato toponimo nel Messico, Brasile, Panamà, Venezuela ecc., utilizzato, inoltre, anche come nome personale femminile, Lídice, con la segnalazione ortografica della corretta accentuazione.
Illustrazione di Florica Cordescu Jebeleanu (1913 – 1965) per il canto 16 intitolato Coro dei bambini uccisi.
FONTI
https://www.notizie.it/lidice-eccidio-nazista-monumento-bambini-uccisi/
https://www.berightback.it/lidice-villaggio-boemo-massacro-nazista/
http://www.lacrimae-rerum.it/documents/00-Lastoriaeletragediedietroimonumenti.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Marie_Uchytilov%C3%A1
Nicolae Manolescu, Istoria critică a literaturii române. 5 secole de literatură, Bucarest, 2008, II ed. 2019.
Lidice di E. Jebeleanu si trova a http://poetii-nostri.ro/eugen-jebeleanu-lidice-poezie-id-20072/; Il sorriso di Hiroshima, in lingua originale, è leggibile per intero a http://horapoezieiromanesti.blogspot.com/2009/12/eugen-jebeleanu-surasul-hirosimei.html; quest’ultimo è stato tradotto anche in italiano (1970), tra le molte altre lingue.
Per l’America Latina si veda Silvia Lidia González, Hiroshima y Nagasaki: Conciencia histórica através del arte y la cultura popular de Iberoamérica, “The Journal of Kanda University of International Studies”, vol. 28 (2016) , pp. 67 – 87 (in rete, scaricabile). Sull’autrice: https://embamex.sre.gob.mx/japon/images/003_MexDes.pdf
Murió Manuel Serrano Pérez, gran escritor tucumano http://www.tucumanoticias.com.ar/mobile/n/137039
Sulla non commemorazione dei bombardamenti atomici statunitensi su Hiroshima e Nagasaki (agosto del 1945) durante i Giochi olimpici di Tokyo (agosto 2021), v. https://www.repubblica.it/dossier/sport/olimpiadi-tokyo-2020/2021/08/06/news/hiroshima_commemorazione_macchiata_da_una_clamorosa_gaffe-313096459/.