Una legge statutaria reazionaria
16 Settembre 2007
Francesco Cocco
C’è chi tenta di avvalorare la legge statutaria come uno strumento atto a favorire la crescita democratica ed il progresso economico e sociale della Sardegna. Così il referendum per la sua abrogazione configurerebbe uno scontro tra i nostalgici di una passata stagione istituzionale e gli anticipatori di una fase nuova della nostra autonomia.
Niente di più falso. Certo nel variegato schieramento del “no” ci sono coloro che rimpiangono un esercizio del potere esercitato a livello ristretto, diciamo pure praticato trasversalmente in una dimensione di “casta”.
Ma la ragione del contendere non è tra un esercizio del potere spartito tra gruppi ristretti in contrapposizione al potere di un singolo. Anche perché il potere monocratico non esclude che continuino a prosperare gli oligarchi, anzi i loro privilegi potranno aumentare.
C’è chi all’interno dello schieramento di sinistra argomenta sostenendo che è preferibile concentrare il potere nelle mani di una sola persona piuttosto che affidarlo a gruppi ristretti. Sintetizzo un discorso più articolato, ma che nella sostanza non si discosta da questa sintesi. In realtà non si comprende che sono due facce della stessa medaglia: l’una non esclude l’altra e per molti versi si sostengono a vicenda. Soprattutto va sottolineato che queste posizioni hanno per sbocco la rinuncia alla lotta. E’ l’abbandono di quel che resta della tradizione del movimento operaio.
Sembrano parole grosse, spropositate rispetto all’esercizio del potere in una Regione autonoma. E tali appaiono perché eravamo abituati a considerare democratico un potere che “nasce dal basso”, dalle articolazioni territoriali della Repubblica. Per cui prevaricatore poteva essere il potere esercitato dallo Stato centrale, mai quello che veniva dal sistema delle autonomie.
Oggi assistiamo ad un fenomeno nuovo: il potere di stampo centralistico che nasce dal basso tende ad essere un fenomeno diffuso. E la Sardegna purtroppo non è l’unico terreno sperimentale.
Quindi le ragioni del contendere sulla legge statutaria attengono alla difesa stessa della democrazia, e la democrazia non la si baratta. Solo un’ esercizio del potere fondato su una reale partecipazione dei cittadini può impedire l’involuzione democratica nella quale sembriamo voler precipitare, con conseguente perdita di qualsiasi possibilità di riscatto per i più deboli.
Una tale posta in gioco impone il superamento di atteggiamenti settari e schematici. Di qui la necessità di una coalizione di forze per sua natura trasversale in cui ciascuna componente entra con finalità diverse, ma che alla fine finiscono oggettivamente per convergere nella salvaguardia delle condizioni elementari di agibilità della nostra democrazia autonomistica.
In fondo è l’insegnamento che ci viene da significative pagine della storia democratica del nostro Paese. In una fase di nette contrapposizioni politiche, Togliatti accettò di accantonare la questione istituzionale e di collaborare con le forze monarchiche per poter liberare il Paese dal dominio nazifascista. Così Enrico Berlinguer, all’indomani del colpo di stato fascista in Cile, teorizzò il “compromesso storico” come strumento di salvaguardia della democrazia in Italia. In entrambi i casi questi due grandi leader del movimento operaio non rinunciavano ai grandi principi ideali, sentivano la necessità storica di farli convivere con le condizioni prime di crescita e salvaguardia della democrazia.
Altra argomentazione che sento echeggiare è che il referendum finirebbe oggettivamente per essere contro la compagine di sinistra attualmente al governo della Regione. Dobbiamo dire con forza che il “no” è contro il degrado innescato da qualche decennio a questa parte e che con la legge statutaria, varata nella vigente legislatura, ha avuto il suo riconoscimento normativo.
L’impudicizia alla quale si è giunti nasce, cioè, da un lungo processo. La vergognosa blindatura dello status giuridico dei consiglieri regionali non poteva essere un fatto improvvisato. Essa è frutto di un processo per tappe, e che oggi vuole zittire una volta per tutte la volontà espressa dai Sardi di porre un freno alla scandalosa remunerazione di certi ruoli istituzionali. Si pensi a come è stato vanificato il risultato plebiscitario con cui il popolo sardo, nel referendum celebrato quasi dieci anni or sono, decideva di porre un giusto limite alle indennità dei consiglieri regionali. La verità è che si finisce per irridere allo stesso dettato costituzionale creando un nuovo caso (!) in cui non è ammesso il referendum.
Indico un punto più che sufficiente per gettare totale discredito su questa legge statutaria. Ma non è certo l’unico a suscitare l’irritazione delle coscienze ancora animate da spirito pubblico. Si aggiunga la permanenza di situazioni di conflitto d’interessi, l’allargamento dei componenti la classe politica, la creazione di nuovi e pletorici organismi con conseguente gravoso quanto ingiustificato aumento dei costi finanziari. Sono punti che debbono suscitare l’indignazione dei sardi, soprattutto di chi non intende disperdere i valori e la tradizione del movimento operaio.
Ecco perché il nostro deve essere un chiaro NO contro i nuovi baroni dell’ autonomia, contro coloro che vogliono ‘s’afferra, afferra” per costituire i nuovi “tancati” del loro potere sui sardi.
23 Settembre 2007 alle 18:25
Sarebbe ora che le valutazioni sulla Legge statutaria fossero fatte da tutti, commentatori e comuni elettori, “etsi Soru non daretur”. Dovrebbero spiegare,i fautori del conservatorismo istituzionale,dove la Legge statutaria minerebbe la democrazia regionale: nella fissazione del numero dei consiglieri a 80, senza l’attuale “delinquenziale” potenziale espansione del loro numero a seconda del risultato elettorale? Nella riaffermazione del sistema di elezione diretta del Presidente della Regione (o forse essi gradiscono, apparendo ed evidentemente essendo laudatores temporis acti, che si ritorni ai tempi delle mille elezioni del Presidente della Giunta – ricordate Palomba? Masala? quando tutto venica deciso dalle segreterie dei partiti? Nel potere riconosciuto al Presidente di nominare gli assessori, sottatto ai mercanteggiamenti partitici e con l’enfasi posta sulla responsabilità individuale? Nel limitare il numero degli assessori al massimo a 10 anzichè 12 come ora? Nell’introdurre un minimo di regolamentazione del conflitto di interessi, certamente ancora insufficiente? nel riconsocere al Presidente sostanzialmente gli stessi poteri che l’art. 95 della Cost. riconosce al Presidente del Consiglio? – Siano più chiari: si stanno strenuamente battendo contro il sistema presidenziale regionale, per tornare, col supporto magari del neo PD e del campionario di vecchiume politico esibito alla Fiera sabato, a “su connottu”. Meglio un si, di sinistra e presidenzialista.
24 Settembre 2007 alle 11:17
A proposito di conflitto d’interessi. L’articolo 27 comma 2 della Statutaria consente, per evitarne le conseguenze, la stipula di un negozio fiduciario e ne detta le clausole tra le parti. Ma l’ordinamento civile è competenza esclusiva dello Stato. Se la Regione disciplinasse una determinata tipologia di contratto privatistico o i suoi effetti tra le parti adotterebbe un atto costituzionalmente illegittimo. Questa parte della Statutaria è quindi destinata a sicura impugnativa costituzionale. Nella discussione nazionale, tra l’altro, la soluzione del conflitto d’interessi basata sul negozio fiduciario è criticatissima: molti la ritengono un compromesso per salvare Berlusconi. Essa infatti reca contraddizioni non superabili. Si dovrebbe anzitutto garantire che il fiduciante non influisca sulle attività trasferite al fiduciario, ma questo è ovviamente impossibile: non occorre lasciare prova scritta, per scambiarsi informazioni o istruzioni. Affidando la gestione delle proprie attività a un terzo mediante negozio fiduciario si potrebbe inoltre eludere l’attuale disciplina delle incompatibilità qualora, a seguito della partecipazione dell’impresa ad un appalto pubblico, si ingenerasse un contenzioso legale. Sarebbe più coerente sancire un’incompatibilità generale tra la titolarità di determinate attività d’impresa e le cariche istituzionali, senza evocare l’improbabile negozio fiduciario.
25 Settembre 2007 alle 04:08
A Bruno Orrù ricordo amichevolmente che tutta la sinistra italiana, unanimente è contro il presidenzialismo, in favore di un sistema proporzionale corretto, sul modello tedesco. La posizione di PRC e PDCI un Sardegna è in controtendenza e, almeno a quanto tutti dicono, le ragioni vanno ricercate, più che in posizioni ideali, nel mercato politico. Niente di più tristemente “connottu”.
Quanto alla nostra nostaliga verso il passato è il solito trucco: deformare, facendone la caricatura, le posizioni alrui per meglio criticarle. In realtà il presidenzialismo soriano è una forma estremizzata di presidenzialismo che non esiste in nessun ordinamento civile, Esiste invece un presidenzialismo temperato da contrappesi in favore dell’Assemblea legislativa e dei cittadini (istituti di democrazia diretta). La sinistra poi a livello globale sperimenta la nuova frontiera della democrazia partecipata, del tutto assente nella L, statutaria, che anzi limita fortemente addirittura i tradizionali strumenti di demecrazia diretta (referendum). La governabilità poi è assicurata anche da un sistema proporzionale corretto e con sbarramento alla tedesca.
Comunque, consiglio la lettura della legge annotata nel sito http://www.comitatoperilno.it e degli altri materiali in esso inseriti per convincersi che in realtà la statutaria sarda riprende le posizioni istituzionali del neoliberismo, che vuole un uomo solo (e la sua corte) al comando, escludendo le masse popolari e le loro rappresentanze.