Una lista o un progetto politico?
16 Luglio 2017Roberto Musacchio
Ci sono discussioni che fanno venire in mente il vecchio “Catalano” della fortunata trasmissione di Renzo Arbore. “È meglio essere belli, ricchi e felici o brutti, poveri e tristi?” Tradotto: “È meglio una sola lista che supera il 10% e cambia le sorti del Paese o due o più liste che falliscono il quorum e affossano la sinistra?”
Ho un poco banalizzato ma forse neanche troppo. E, già che ci sono, mi tolgo il sassolino e aggiungo che messa così la discussione della tanto vituperata lista Arcobaleno sembra un esempio di alta politica. Ricordo che anche allora si era al termine di una fase politica, anche se non di un vero e proprio ciclo. L’affermazione della autosufficienza veltroniana “svoltava” rispetto all’ormai esausta esperienza del governo tra Ulivo e Prc. Che aveva logorato in primo luogo il Prc stesso, anche se in realtà si sarebbe dimostrato con gli anni che il logoramento era della stessa idea di Sinistra e in fondo del Paese. Alla mossa veltroniana si provò a rispondere con una scelta a suo modo significativa: ricollocare all’opposizione tutto ciò che restava fuori dell’orizzonte del nuovo PD. La mossa non riuscì. Fu gestita male. Ma erano anche esauriti i materiali su cui si fondava. Per giunta per ancora un periodo l’autosufficienza di Veltroni evoco’ nuovi spazi da occupare nel quadro sistemico del maggioritario che ha caratterizzato questo venticinquennio.
Ora a me sembra che noi si sia alla chiusura non di una fase ma di un intero ciclo politico. E non solo in Italia. In tutta Europa i sistemi politici hanno collassato a fronte dell’impatto con la costruzione dell’Europa reale. In Grecia si è affermata una forza come Syriza, mentre il Pasok è imploso. In Spagna è finito il duopolio e si è imposto Podemos. In Inghilterra la Brexit ha portato addirittura la GB fuori dalla UE e ha chiesto ai partiti di ripensarsi in radice cosa che in particolare Corbyn ha saputo fare non a caso contro Blair. In Francia socialisti e gollisti, in particolare i primi, sprofondano e Macron riforma il sistema politico trasferendone il centro nel governo mentre Melenchon lo fa dall’opposizione e “dal popolo”. Solo in Germania Merkel continua a regnare ma ci si può aspettare una debacle della Spd. Il Portogallo ci dà speranze perché esce dai memorandum e le sinistre alternative pesano significativamente mentre un partito socialista prova a salvarsi cambiando.
Certo la nuova fase che si apre è tutt’altro che stabile. Anzi si può parlare di una “stabile instabilità” che caratterizza la rotta dell’Europa in acque sempre più procellose sia nei mari interni che negli oceani. Migranti, crisi sociali, nuova torsione nazionalista della globalizzazione (ossimoro proprio per ciò inquietante). Le classi dirigenti europee non sanno fare altro che riproporre la continuità “con ammuina”. La continuità delle politiche liberiste e ademocratiche riproposte da tutti i recenti documenti ufficiali UE. Le ammuine di Renzi sul Fiscal compact o di Macron (assai squallide) sui migranti e con Trump.
In tutto ciò in Italia si discute “alla Catalano”. Rispetto alla famigerata lista Arcobaleno non c’è neanche la volontà, almeno teorica perché tale si dimostrò fosse allora, di ricollocarsi all’opposizione di tale situazione e di trovare i materiali per farlo. Senza dei quali una crisi profonda come quella della sinistra in Italia non ha chance di reicontrare consenso. Certo la situazione italiana resta la più confusa su come si svilupperà la crisi del sistema politico qui caratterizzato da una lunghissima e mai risolta era di passaggio al bipolarismo. Travolto dall’insorgere del terzo polo grillino e, soprattutto, dalla crisi politica e democratica. Qui non c’è ancora un prevalente tra nostalgici dei vecchi equilibri, “nuovisti” rapidamente invecchiati, schegge espulse e incerte su dove e perché ricollocarsi. Le uniche cose certe sono che comunque, con ammuina o no, si dovrà ubbidire alla UE e che sarebbe meglio per questo che continui a non esserci una sinistra.
Infatti, nella discussione alla Catalano, non c’è accordo neanche sul tema del discorso. Si vuole fare la sinistra o il centrosinistra? Non voglio qui ricordare il vecchio “nomina sunt consquentia rerum” ma certo è difficile cavarsela con una scorciatoia programmatica. Fare la sinistra significa prendere atto della crisi del vecchio sistema e delle ragioni di essa che si chiamano Europa reale, crisi democratica, globalizzazione e misurarsi in una nuova impresa di reinvenzione e di nuovo innesto. Fare il nuovo centrosinistra significa rattoppare il sistema. E non mi si dica che il tema è il governo perché il pilota automatico ci dice che solo una totale alternativita ‘ può permettere di affrontarlo. Ora, tutte le esperienze europee dicono che si afferma chi si inventa il nuovo e non chi rattoppa. Per altro in Italia c’è una discussione che sarebbe surreale in tutta Europa. Tra chi sta al governo e chi si oppone ad esempio. Vero è che la lunga fase di transizione ha compromesso un poco tutti e reso assai serio un problema di credibilità. Ma se è vero che qui non ci sono né vecchie glorie rimaste pure come Corbyn o Sanders o nuovi leaders come Tsipras o Iglesias è anche vero che la fase precedente è segnata da conflitti in cui pure si provarono ad agire punti di vista diversi, e sconfitti, e forze nuove esistono in una società sfinita ma non vinta.
Per questo l’assemblea del Brancaccio a me sembra fuori dal discorso alla Catalano. Come lo era L’Altra Europa con Tsipras che ottenne un risultato minimo ma significativo proprio guardando e praticando un altro paradigma politico.
Precisamente quello europeo che è il contesto del far politica oggi. Quando si parla delle elezioni italiane a me viene da chiedere: “Ma ci siamo accorti che sono un turno di quelle che stanno definendo gli assetti europei e che dopo quelle tedesche si concluderanno in Itali?”. E mi viene da aggiungere: “Ma lo sapete che subito dopo ci saranno le elezioni europee del 2019 e che i soggetti europei stanno già, giustamente, discutendo di come affrontarle?” Mi verrebbe infatti da dire: rovesciamo. Decidiamo come si va alle elezioni europee ed avremo una soluzione per come si va a quelle “nazionali”. Anche perché sarebbe ben strano che dopo il voto nazionale si dovesse ricominciare da capo per quello europeo. Io lavoro perché alle europee ci sia una proposta che, a partire dal Partito della Sinistra europea e dal Gue, raccolga tutte le forze che si muovono da decenni ad oggi per un’altra Europa, dai movimenti a Diem. Vedo, col necessario interesse, una crisi profondissima dei socialisti europei che porta Hamon ad uscire dal Psf. Ma, non a caso, Hamon, che pure era meno compromesso ed aveva un bel programma, è stato surclassato da Melenchon. Dico Europa perché io credo che di fronte alla crisi dei sistemi politici la risposta stia nell’affrontare le cause. E questo significa ad esempio costruire soggetti politici europei veri che facciano la battaglia per liberare l’Europa. I Partiti non si inventano a tavolino e tanto meno sommando spezzoni di ceto parlamentare. I Partiti sono funzioni dei processi storici. Quello della liberazione della Europa lo è e diventa sempre più comprensibile ai popoli. Serve un Partito per questo obiettivo. In Italia Prc, Altra Europa con Tsipras e Sinistra Italiana fanno parte del Partito della Sinistra europea. Moltissimi movimenti vivono sulla dimensione europea. Da qui può partire una costruzione che non sia alla Catalano. La costruzione non solo di una lista ma, finalmente, di un progetto politico.