Metalmeccanici, una mediazione apprezzabile
1 Febbraio 2008
Loris Campetti
Il contratto più importante, e più difficile, è stato firmato il 20 gennaio “in zona Cesarini”, una metafora tratta dal mondo del calcio per dire “all’ultimo momento utile”. Cesarini era infatti quel giocatore della Juventus che riusciva implacabilmente a segnare al 44esimo minuto del secondo tempo, quando sembrava che il risultato della partita fosse ormai compromesso. Così è capitato ai sindacati dei metalmeccanici, Fiom, Fim e Uilm, protagonisti di un’estenuante trattativa durata sette mesi con i padroni della Federmeccanica – la Confindustria delle tute blu – e fortemente compromessa dalla linea oltranzista degli imprenditori: solo dopo una lunga nottata di schermaglia, grazie alla mediazione del ministro del lavoro Cesare Damiano e, soprattutto, agli scioperi spontanei dei lavoratori che con i blocchi stradali e autostradali stavano paralizzando il paese, Federmeccanica ha accettato obtorto collo di firmare l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto nazionale di categoria. Appena 48 ore dopo le firme dei segretari generali dei sindacati e del gotha di Federmeccanica sotto il protocollo d’intesa, il ministro Clemente Mastella avrebbe annunciato l’uscita del suo manipolo di parlamentari dalla maggioranza, le sue dimissioni e dunque l’apertura della crisi del governo Prodi, formalizzata dalla sfiducia in Senato due giorni più tardi.
Da sempre è tra le tute blu che in Italia si gioca la partita sociale e sindacale più rilevante, quella che definisce e talvolta modifica i rapporti di forza, e segna le prospettive di tutte le categorie del lavoro. Un contratto difficile, in salita e in difensiva, segnato dalla pretesa degli imprenditori di sbarazzarsi una volta per tutte del suo carattere solidale, cioè di copertura per tutti i lavoratori a prescindere dal fatto che operino in grandi imprese forti di una robusta rappresentanza sindacale, oppure in piccole aziende dove i diritti sono aleatori e il sindacato non può metter piede. Un milione e seicentomila sono i metalmeccanici italiani, in una struttura produttiva frantumata dai processi di terziarizzazione e delocalizzazione produttiva all’estero, dove diritti, orari e salari sono più aleatori. Si calcoli che soltanto nel 10% delle industrie di tutti i settori merceologici esiste un contratto di secondo livello, cioè aziendale, e dunque il contratto nazionale per la maggior parte dei dipendenti è l’unico strumento di tutela in materia di salario, diritti, orario. L’obiettivo a cui le imprese lavorano da anni è la sterilizzazione del contratto nazionale, a cui vorrebbero fosse affidata l’unica funzione di recupero del salario mangiato dall’inflazione, mentre gli aumenti veri e propri sarebbero regolati dal secondo livello di contrattazione e vincolati alla produttività: solo se gli affari vanno bene ai padroni i lavoratori potranno sperare in un reale aumento salariale, ammesso che facciano parte di quella minoranza che ha la fortuna di lavorare in aziende sindacalizzate. E tutto questo proprio quando in Italia esplode lo scandalo dei salari dei lavoratori dipendenti che, dal lontano ’93, hanno continuato a perdere di consistenza, 10 punti in meno dal 2000. Oggi lo dicono anche Bankitalia, Confindustria, i padroni del commercio, preoccupati per la caduta dei consumi interni. Lo dice quel centrosinistra che ben poco ha fatto per modificare da palazzo Chigi la situazione ereditata da Berlusconi. Nell’arco di una generazione gli operai della Fiat devono lavorare il doppio degli anni per riuscire ad acquistare l’automobile che essi stessi costruiscono.
Il primo risultato positivo strappato da Fiom, Fim e Uilm è di aver respinto l’assalto padronale contro l’istituto stesso del contratto. Sul versante salariale, rispetto alla richiesta iniziale di un aumento medio di 117 euro mensili – più 30 per chi non ha il contratto integrativo – per un periodo di due anni, il compromesso finale prevede 127 euro per 2,5 anni, più una quota per chi non ha l’integrativo. Un risultato accettabile. Rispetto all’altra aggressione padronale, quella sulla flessibilità, dei due sabati di straordinario aggiuntivi ai quattro già esistenti i sindacati ne hanno salvato uno, così sarà uno e non due i giorni di permesso di cui l’azienda potrà usufruire, ma solo con il consenso del lavoratore interessato che potrà comunque recuperarlo successivamente. Non una vittoria a tutto tondo, dunque, ma una mediazione apprezzabile nel contesto politico e sociale dato. Strappato in solitudine perché le sinistre erano in tutt’altre faccende affaccendate. Due soli giorni di ritardo nella firma e la crisi di governo avrebbe reso impossibile l’accordo. Con la decisione già presa da Federmeccanica di procedere, in caso di mancata intesa, agli aumenti decisi unilateralmente dai padroni: ciò avrebbe di fatto cancellato il ruolo e la presenza dei sindacati, spazzato via ogni forma di solidarietà nei confronti dei più deboli, riconsegnato per intero alle imprese lo scettro del comando sulla forza lavoro, cancellando mezzo secolo di lotte operaie. Ora l’ipotesi di accordo sarà sottoposto ai lavoratori con un referendum che si svolgerà a fine febbraio, preceduto da una tornata di assemblee prevedibilmente molto calde e partecipate nelle fabbriche e negli uffici. Quei lavoratori che con decine di ore di sciopero, con le manifestazioni in tutte le città e con i blocchi stradali hanno piegato l’intransigenza degli imprenditori, ora valuteranno i risultati raggiunti senza sconti per nessuno. La sofferenza maggiore riguarda gli operai di terzo livello, i turnisti che operano alla catena di montaggio, i più sfruttati a cui il “governo amico” di centrosinistra ha spostato più avanti la pensione senza dare in cambio quegli sgravi fiscali di cui invece i padroni si sono appropriati a man bassa. Non sarà un pranzo di gala lo svolgimento del referendum, in qualche grande fabbrica (vedi Mirafiori) non è impensabile un voto negativo, ma è prevedibile che alla fine la valutazione dei risultati e del contesto generale formalizzerà e renderà fruibile l’intesa strappata dai sindacati al tavolo di trattativa. Che senza la tenuta della Fiom-Cgil sarebbe stata certamente più sfavorevole per i lavoratori.
2 Febbraio 2008 alle 11:52
Il mondo sta cambiando, nel bene e nel male, non ci sono dubbi. Certamente i “tempi stanno cambiando”, ma non come cantava e sperava più di trent’anni fa Bob Dylan, anche su questo non ci sono dubbi. Sicuramente dovrà ancora cambiare il modo di comunicare e Loris Campetti ce lo conferma ritenendo giustamente necessario spiegare la “zona Cesarini”. Tutti auspicano un ricambio generazionale, e allora ricordiamoci che le giovani generazioni non sempre sono sintonizzate sulle nostre metafore, e noi un pò più avanti con gli anni, non sempre siamo sintonizzati sulle loro. Troppo spesso si sentono discorsi rivolti alla propria area generazionale ovviamente non soltanto nell’uso delle metafore.
Complimenti a Loris Campetti per la conduzione eccellente della sua settimana su Radio Tre.
Angelo Liberati
3 Febbraio 2008 alle 20:56
Ho letto a settembre 2007 un articolo su Liberazione (o sul Manifesto non ricordo bene) dove si auspicava il ritorno o l’estensione, del metodo del contratto nazionale anche ad altre categorie di lavoratori. Sono completamente d’accordo. Secondo me questo metodo di contrattazione “robusto” per il suo carattere appunto “nazionale” permette di affrontare “quasi” ad armi pari la categoria “padronale”. Mentre il ridurre la contrattazione al solo livello di stabilimento indebolisce i lavoratori. Un contratto nazionale inoltre può rappresentare un esempio e un precedente, molto utili per l’affermazione e la difesa dei diritti dei lavoratori. I lavoratori secondo me hanno perso queste consapevolezze che erano patrimonio degli operai che hanno fatto le manifestazioni degli anni sessanta. L’unione fa la forza….
3 Febbraio 2008 alle 22:34
Un risultato accettabile?
Sarà per questo che i sindacati esultano allora! Certo, pensandoci bene c’è proprio da festeggiare…Dopo oltre un anno di lotte, 60 ore di sciopero, manifestazioni e infiniti tavoli di trattativa più volte interrotti, quelli alla fine firmano un contratto così balordo che prevede 127 euri lordi spalmati in tre anni. E’ questo secondo voi è accettabile? Figurati se gli andava male, allora.
Qualcuno piuttosto ha chiesto ai metalmeccanici che cosa ne pensano?
La verità è che in Italia continua a circolare la doppia moneta… le lire per i salari e gli euro per tutto il resto.