Una piazza per l’Europa della pace e dell’uguaglianza in memoria di Alex Langer

15 Marzo 2025
Passo del Brennero, 1991. Alex Langer. Foto di Othmar Seehauser

[Roberto Loddo]

Non ho mai avuto simpatie per Michele Serra e ho un rapporto di odio e amore con il quotidiano per cui scrive. Ho disdetto almeno cinque volte l’abbonamento del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e oggi diretto da Mario Orfeo.

Detesto la linea editoriale de La Repubblica e trovo lontane da un’idea di informazione corretta e trasparente alcune sue firme. Ma ne seguo altre, con attenzione, curiosità e interesse. Un rapporto di odio e amore nato dall’ultimo anno della scuola, quel drammatico marzo 1999, dalle manifestazioni contro la guerra delle bombe della Nato contro la Jugoslavia di Milošević, responsabile di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica del suo esercito contro i musulmani in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo. In quei giorni, in quel giornale c’era chi senza vergogna equiparava noi pacifisti e pacifiste alle Brigate Rosse.

L’appello di Michele Serra per una piazza per l’Europa e le sue successive dichiarazioni mi hanno fatto riflettere sul fatto che anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno. C’è una piazza che rivendica l’unità dell’Europa politica e che parla a tutte le organizzazioni democratiche, ai sindacati e ai partiti della sinistra. Quella piazza ci chiede se ci stiamo, se abbiamo il coraggio di osare e partecipare con la nostra radicalità pacifista e nonviolenta.

Quella piazza ci chiede se vogliamo lasciare lo spazio politico a coloro che hanno sostenuto il Piano europeo ReArm oppure se vogliamo costruire l’Europa dei diritti, della sicurezza comune e della pace. La mia idea di Europa è la stessa che immaginava l’europarlamentare pacifista, nonviolento ed ecologista Alexander Langer. Langer nel 1990 scriveva che fin da molto prima dell’entusiasmante apertura dei muri e dei fili spinati che avevano diviso l’Europa sino a renderla irriconoscibile, la Comunità Europea aveva esercitato un forte fascino sui popoli a partire dalla pratica dell’unità nella diversità. Un processo di partecipazione democratica e integrazione più avanzato e rispettoso di tutte le differenze culturali della storia.

Una domanda e un bisogno di Europa che ha coinciso con il forte desiderio di trovare nuovi punti di riferimento, rifiutando la condizione di satelliti di Mosca e Washington. Per Langer l’Europa poteva diventare una comunità che rifiutava la contrapposizione frontale tra nord e sud, tra sazi ed affamati, tra chi si può permettere il lusso della democrazia perché riesce a caricare su altri le spese delle proprie scelte e chi vede nella democrazia solo l’ennesimo raggiro contro i poveri, che, pur essendo maggioranza, non vincono mai.

Il direttore de Il manifesto Andrea Fabozzi ieri si è chiesto qual è il valore politico di una piazza piena. La risposta alla sua domanda deve arrivare da noi. Non permetteremo a nessuno di esibire le bandiere di una Nato in crisi e dalla parte sbagliata della storia. Vogliamo portare le nostre bandiere della pace insieme alle bandiere della Palestina e di tutti i popoli oppressi.

Perché quella di oggi è anche la nostra piazza. La piazza della sinistra europea che non vuole stare a casa in silenzio e nemmeno inventarsi seconde o terze piazze più piccole e dalle visioni binarie e assolute che possono determinare solo un no alla guerra al gusto dell’equidistanza, una equidistanza pericolosa tra il modello autoritario, militarista di Putin, il tecnofascismo di Trump e l’Ucraina aggredita. Sono uguali? No. Non sono uguali.

Perché sappiamo chi è l’aggressore e chi sono gli aggrediti. Lo sappiamo dal 24 febbraio 2022, da quando Putin ha annunciato una finta operazione speciale in Ucraina attraverso l’aggressione e l’occupazione di uno stato sovrano e da quando il governo israeliano ha deciso di radere al suolo Gaza e massacrare il popolo palestinese. La storia del movimento pacifista ci insegna che il pacifismo non è mai equidistante.

Vogliamo urlare in maniera scomposta che la Cgil, l’Anpi, Avs, l’Anpi, parte del terzo settore e dell’associazionismo, e parte della sinistra europea sono alleati della guerra perché partecipano a quella piazza? Se ci accodiamo a questa narrazione dal pensiero povero e breve rimarremo affamati di rancore e ininfluenza, soli e isolati nel nostro piccolo paese delle meraviglie per vedere quant’è profonda la tana del bianconiglio.

Noi a quella piazza dobbiamo partecipare. Non è la piazza di Repubblica, di Michele Serra e nemmeno del PD e di Calenda. È la piazza della sinistra europea che non si arrende di fronte al precipizio dell’aumento esponenziale delle disuguaglianze. È la piazza di chi rifiuta la guerra sociale tra vittime del neoliberismo e del populismo reazionario. Il nostro no alla chiamata alla piazza per l’Europa avrebbe generato la piazza di chi si mette l’elmetto per svuotare i granai, non certo per difendere i popoli dall’ingordigia imperiale e colonialista.

Si partecipa alla piazza per l’Europa, per dire che mandare altre armi dove ci sono le guerre è sbagliato. Si partecipa per dire che l’Europa deve sottrarsi allo scontro tra le democrazie occidentali in dissoluzione e le autocrazie orientali. Perché vogliamo un’Europa diversa che riesca a comprendere le domande di conflitto e trasformazione e si imponga negli equilibri mondiali come forza dotata di autonomia e capace di relazionarsi in maniera orizzontale e cooperativa con il Sud del mondo, facendo della pace la prospettiva principale della propria iniziativa.

Questa è l’Europa che vogliamo.

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