Una rosa viva nella terra di Gramsci

16 Settembre 2008

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Giorgio Baratta

“Gramsci è morto”, sostiene un libro recente. Se è così, viva Gramsci! Anche altri sono morti, basta pensare a Lenin e poi a Togliatti, che usò Gramsci per costruire un intero programma politico. Dopo quell’esperienza in Italia c’è stato un vuoto di presenza reale, che dura ancora oggi, nonostante il vivace fermento di idee prodotto da studiosi della “International Gramsci Society”, come documentano libri recenti di notevole valore, quali, in ordine inverso di uscita, La continua crisi di Pasquale Voza, La rivoluzione necessaria di Raul Mordenti, Tre voci nel deserto di Giuseppe Prestipino e Sentieri gramsciani di Guido Liguori. Perché questa difficoltà di impatto sulla realtà? I morti vanno usati dai vivi. Ma prima bisogna rendersi conto fino in fondo che sono morti. Forse coltiviamo ancora qualche illusione. Se avremo il coraggio di voltare decisamente pagina e ragionare sulle urgenze dell’esistente, ci accorgeremo che usare significa tradurre, ciò che comporta l’adozione di un diverso linguaggio, irrimediabilmente altro dall’originale. Un linguaggio è un mondo. Un’esperienza-madre, che dimostra la capacità di stimolazione verso il nuovo che è propria dell’eredità di Gramsci, è l’ardore che negli anni settanta ebbe Stuart Hall in Inghilterra di “teorizzare” non tanto su Gramsci quanto – con Gramsci – sulle urgenze dell’esistente. Hall ne ricavò il filo rosso per analizzare le novità del “populismo autoritario” della signora Thatcher, la quale era stata capace di tradurre e stravolgere nel linguaggio della destra bisogni, idee, sentimenti attinti in gran parte al patrimonio politico-culturale della sinistra. Per questa operazione Hall, e il movimento che a lui si rifaceva, si servirono di studi culturali, di discipline e di linguaggi tra i più diversi. Un mese orsono assieme a Derek Boothman ho avuto modo di riflettere con Hall a Londra su analogie e differenze tra l’Inghilterra populistico-autoritaria di allora e l’Italia di oggi, ma anche sulle modalità culturali di una strategia culturale di “sinistra”. Il pensiero critico si è infranto sugli schermi televisivi? Diamo allora vita a uno sforzo collettivo di immaginazione critica, ispirato a un autore che nell’ultimo dei suoi Quaderni del carcere ha scritto a un dipresso: se si spoglia la lingua della grammatica, resta un sistema di immagini. Hall ci ha promesso il suo sostegno a un impegno di rinnovamento dello studio e dell’uso di Gramsci, come quello che si vuole avviare in – e a partire dalla – Sardegna, ove si annuncia Terra Gramsci: un organismo allo stato nascente, frutto dell’ancoramento della International Gramsci Society nella terra di Gramsci, in contrappunto con le terre del mondo. Lo scorso anno l’afflusso di un centinaio di studiose/i, anche giovani, da tutto il mondo, a Ghilarza, Ales e Cagliari per il Congresso itinerante della Igs; episodi eclatanti, come i mille bimbi giunti ad Austis in Barbagia da tutta la Sardegna a mostrare: “Gramsci, lo vivo così”; la passione poetico-musicale del compianto Peppino Marotto, cantastorie-sindacalista di Orgosolo, che si è trasmessa a tutte/i noi; la ricerca audio-logo-visiva promossa assieme al festival di Gavoi, con la partecipazione di cineasti illustri, come Nelson Pereira Dos Santos, Robert Cahen, Theo Eshetu; l’adesione di intellettuali e artisti di fama mondiale, come Eric Hobsbawm, Stuart Hall, Maria Lai, Pinuccio Sciola; il giro di conferenze e interventi dell’ex-ministro della pianificazione del Governo Venezuelano Jorge Giordani… tutto questo è confluito nella tessitura della “rete itinerante” Terra Gramsci che si è data un programma ambizioso e nello stesso tempo realistico: lavorare, a partire dai dieci Comuni fondatori e patrocinatori del Centro Sardegna, per promuovere nell’Isola, a contatto e nello scambio con realtà internazionali vicine alla Igs (tra cui Barcellona, Londra, Rio/Niteroi, Caracas) un progetto di formazione di un nuovo/senso immaginario comune. Il ciclo delle prossime iniziative indetto da Terra Gramsci obbedisce a questa ispirazione. Si tratta di concerti e momenti poetico-musicali, proiezioni di videosaggi, ma anche di comunicazioni discorsive e di dibattiti, che hanno come scadenze 24-25 ottobre, che seguono quelle di Sant’Anna Arresi del 31 agosto e di San Vero Milis del 2 e 3 settembre. Il 31 agosto a Sant’Anna Arresi, nei pressi di Cagliari,  nel contesto della XXIII edizione del Festival dedicato all’eredità musicale di Don Cherry, il noto trombonista Giancarlo Schaffini assieme al giovane contrabbassista Adriano Orrù ha commentato musicalmente, in contrappunto con la re-citazione di Clara Murtas, attrice e cantante, e con una sequenza di immagini della fotografa pasionaria Tina Modotti, contemporanea di Gramsci, due leit-motiv delle lettere di quest’ultimo: l’utopia concreta, rappresentata dalle rose che egli piantò nel cortiletto del carcere, e che apparivano a lui, per il quale “lo spazio non esisteva più”, una metafora del tempo, che è “pseudonimo della vita”, “carne della mia carne”; e poi la scoperta dei linguaggi della “nuova cultura”, che secondo Gramsci stavano cambiando il modo di vivere e di pensare, tra i quali il melodramma, il cinematografo e il Jazz, ma anche “la musica in generale”: banchi di prova decisivi “per una politica di cultura delle masse popolari”. Per molti probabilmente è novità il penetrante affondo di Gramsci sul “ritmo sincopato degli jazz-bands che tocca milioni e milioni di persone, specialmente giovani”, capace di “comunicare impressioni e immagini totali di una civiltà estranea alla nostra… Si tratta di fenomeni musicali, cioè manifestazioni che si esprimono nel linguaggio più universale oggi esistente”. E’ una citazione da una lettera con passaggi esilaranti del 1929 a Tania, alla quale Nino racconta di un compagno di carcere, ossessionato dalla minaccia rappresentata per l’Occidente dalla invasione di statuine di Budda, che si è invece convinto, dopo aver parlato con lui che, “mentre aveva paura di diventare un asiatico, in realtà egli, senza accorgersene, stava diventando un negro e che tale processo era terribilmente avanzato, almeno fino alla fase di meticcio”. “Penso – conclude Gramsci – che non sia più capace di rinunziare al caffè con contorno di jazz e che d’ora innanzi si guarderà più attentamente nello specchio per sorprendere i pigmenti di colore nel suo sangue”. Gramsci era amante del bello, sul quale da giovane ha scritto pensieri memorabili: bello artistico, bello di natura. Al tema delle rose, della travagliata appassionata vicenda della loro crescita (e purtroppo poi, del loro assecchimento) nel cortiletto del carcere, egli dedica nello stesso 1929 alcune lettere a Tania, che illuminano di scorcio, ma efficacemente, la genesi dei Quaderni. Quell’autentica dichiarazione d’amore – “la rosa è viva e fiorirà certamente” – è una metafora dell’”ottimismo della volontà” (compagno inseparabile del “pessimismo dell’intelligenza”), senza il quale non sarebbe stata concepibile l’impresa eroica della scrittura nel carcere. Dal “Gramsci in concert” di Sant’Anna Arresi alle “Conversazioni Civili” di San Vero Milis, paese vivacissimo di cultura nei pressi di Oristano, il transito è fluido. Il 2 settembre alle ore 19  il linguista Derek Boothman  e Antonio Deias, dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico,  discutendo del mio libro “Antonio Gramsci in contrappunto – Dialoghi col presente”, hanno affrontato il nesso passato-presente e il bisogno-possibilità di un nuovo senso comune.  Il filo rosso della “conversazione civile” del 2 settembre, è che la linea Gramsci – De Martino/Cirese – Said/Hall rappresenti una potenzialità di nuova cultura laica, che richiede l’incontro tra umanesimo e scienza, lotta egemonica e consapevolezza epistemologica, senso comune e antropologia critica. Il 3 settembre nella stessa San Vero Milis  sindaci e assessori del Centro Sardegna, fondatori della rete Terra Gramsci, ospiti del Comune di San Vero, hanno presentato  un appello ai Comuni, alle Associazioni, ai Cittadini di tutta l’Isola “perché la rosa fiorisca”. “Il ‘nostro Gramsci’ – recita l’appello – è un grande intellettuale cosmopolita internazionalista, e insieme un uomo ricco di sentimenti elementari: uno che viveva la sua terra – pietre piante animali culture tradizioni – quale fonte permanente di passione per il senso comune della sua gente, che egli si sforzava di educare a una coscienza più aperta e più matura, capace di passare senza soluzione di continuità dalla Sardegna all’Italia, all’Europa, al Mondo”.

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