Una società senza carceri
16 Ottobre 2018[Gavinu Dettori]
Una società senza carceri. Questo è stato l’auspicio che è emerso nel convegno del 7 settembre nella presentazione del libro all’interno della rassegna Storie in Trasformazione “Il male dell’ergastolano” di Annino Mele, lui presente, in carcere dal 1987, è attualmente in libertà condizionale.
Non sono mancate le riserve, se partecipare, o no, per dare visibilità ad un ergastolano, mai pentito, coerente nella sua giustizia, con la presentazione di un suo libro. Ma la considerazione che la cultura e la nostra Costituzione affida alle carceri, quale detenzione rieducativa, e anche aver assunto, personalmente, la cultura della abolizione della pena di morte, ha sciolto ogni mio dubbio.
D’altronde lo spirito di vendetta di un crimine già consumato, non porta ragionevolmente alcun beneficio sociale e non evita la ripetizione sociale del crimine o reato. Questo si rileva dal permanere del comportamento antisociale di persone deviate o escluse socialmente, o dello spirito criminale nelle società dove ancora permane la pene di morte, pur attuata nei modi più crudeli, dove si corre spesso il rischio di condanne ingiuste, in specie se motivate da consuetudini illiberali o ideologie politiche- religiose. Lo spirito di vendetta alberga in noi verso chi ci ha offeso. Socialmente, nella generalità, viene soddisfatto, storicamente, con la reclusione, che prevede anche l’ergastolo o la pena di morte per crimini efferati.
Ma la società civile avanzata, prevede la rieducazione e il reinserimento (almeno lavorativo) nella società, del criminale, che d’altronde sarebbe più oneroso continuare a tenerlo in carcere o sbandato, senza alcun beneficio sociale.
La detenzione a vita, è vista dal carcerato come una condanna più crudele della pena di morte, perché tutta vissuta, e quand’anche vissuta con pentimento, lo stesso abilitandosi socialmente a vivere una vita più degna e coerente con la società, considerando quindi la detenzione inutile.
Ma un reinserimento sociale si è verificato improbabile in una società dove manca il lavoro per i cittadini onesti, che rivendicano la precedenza, creando un conflitto insanabile.
Ma socialmente è più facile condonare la pena di morte, che fa cessare ogni motivazione sociale, piuttosto che pensare di abolire l’istituzione carceraria, che con l’espiazione, ne motiva lo spirito di vendetta ed ha la funzione di scongiurare i crimini nella collettività, assumendo una valvola di sicurezza per le persone “oneste”. L’onestà è un eufemismo per mascherare i vari livelli di garanzia sociale chiesta da coloro che si trovano in condizioni di squilibrio privilegiato.
Questo credo sia il motivo per cui è stata istituita la carcerazione in tutte le epoche storiche, in società create per proteggere coloro che si sono e si imporranno nella società con la forza: difendere lo “status” di coloro che hanno raggiunto il sufficiente livello di benessere, che permette loro di non effettuare crimini per soddisfare i bisogni materiali di sussistenza in vita, ed anche con la velata motivazione politica di auspicare l’equilibrio sociale.
Anche se la ingordigia e la malvagità umana è tale che, che anche parte dei privilegiati cadono nella rete. Ecco che nella “legge uguale per tutti”, viene mascherata l’incongruenza sociale della diversità e della ingiustizia. Le carceri infatti sono state, sempre, riempite di povera gente, che ai crimini commessi dai pur garantiti, sommano quei crimini connessi alla loro condizione di disagiati, e penalizzati dalle ingiustizie.
Le ingiustizie che nascono dalle strutture sociali create sulla prevalenza individuale del più forte.
Oggi, maggiormente, si parla di “forza economica”, che si attua nel libero mercato, attraverso la “semicolonizzazione economica “, riconosciuta dalle leggi internazionali, quindi non soggetta a criminalizzazioni; ma anche come forza fisica e come minaccia di vita, operata da gruppi criminali organizzati che si impongono rozzamente e temibilmente nel territorio.
Ma in questo sistema economico, come imposto dal mercato, tutti abbiamo accumulato qualcosa da difendere, e per questo ci sembra logico accettare l’attuale giustizia e la carcerazione, consci, ma inconsciamente, che la “legge è uguale per tutti”, sebbene siamo, per natura tutti disuguali, ma peggio ancora, creati disuguali per costituzione e composizione sociale.
Eliminare o rendere più umane le carceri, significa riconoscere, e annullare le disparità sociali, ma questo proposito non potrà verificarsi se una società non si pone l’obbiettivo di perseguire l’equità sociale, nella garanzia della libertà.