UNESCO, Unesco delle mie brame

1 Dicembre 2020

[Alfonso Stiglitz]

Per chi ha una certa età – e, magari, è anche nonno di molte nipoti, come me – sentirà spesso la Regina malefica di Biancaneve che si rivolge allo specchio.

A me è tornato alla mente leggendo la petizione promossa dai Riformatori Sardi sul riconoscimento dei nuraghi come patrimonio Unesco, alla quale si sono accodate unanimi e festanti tutte le forze politiche, opposizione (opposizione ?) compresa e molti consigli comunali, oltre a quello regionale. Uno dei leader del partito, Michele Cossa, è presidente dell’Associazione “La Sardegna verso l’Unesco”, oltre che indimenticato promotore della proposta di legge per finanziare le ricerche su Atlantide al costo di 10 milioni di euro annui.

UNESCO, Unesco chi è la più bella del reame? Come la Regina di Biancaneve la mozione è un caso da manuale di propaganda, scarsa conoscenza dell’archeologia, della sintassi e, soprattutto, della logica di una argomentazione. Fa pensare (e arrabbiare) che molti amministratori e, da ultimo, anche il Senato Accademico dell’Università di Cagliari, si siano fatti trascinare in un atto di sostegno ai voleri di un partito politico. Ci sono delle eccezioni, come il Sindaco, indipendentista, di Villanovaforru che si è dichiarato contrario con motivazioni nel merito molto fondate e riportate nella delibera di Consiglio Comunale numero 30 del 29 settembre 2020, che vi invito a leggere.

L’iniziativa, come quella dell’insularità, sempre patrocinata dallo stesso partito, rientra nella ‘sindrome di calimero’ (citazione per quelli di una certa età): siamo pulcini poveri e neri, nessuno ci vuole bene; però se arriva ‘Ava come lava’ (UNESCO), allora ci sbianchiamo e tutti ci ameranno, ci riconosceranno; e, se siamo un po’ più bianchi di altri, magari riconosceranno la nostra superiorità sugli altri. Siamo all’interno del vecchio percorso resistenziale (un po’ orecchiato e senza la qualità di quello originario), in ambiti di auto-colonialismo: è il riconoscimento esterno che ci dà la nostra identità e ci gonfia di orgoglio.

Molti amministratori, potremo dire ‘poco usciti’, vedono già l’arrivo di fantomatiche caterve di soldi: è il marketing del cappello in mano. Sarebbe interessante verificare quanti di quei Comuni che hanno aderito abbiano, nella realtà, speso regolarmente, negli anni, fondi del proprio bilancio ordinario per la tutela e la valorizzazione dei Beni culturali concreti e reali presenti nel proprio territorio.

Entrando nel merito della mozione il primo punto è, ovviamente, la credibilità quello dei proponenti: infatti, sono gli stessi impegnati nello smantellamento del Piano paesaggistico regionale (PPR) e in particolare della cancellazione dei beni identitari, che intralciano lo sviluppo. È di questi giorni, inoltre, l’annuncio della caduta del vincolo costruttivo nei entro i 300 metri dalla costa e il via libero all’edificazione selvaggia delle aree agricole, alla faccia del nostro paesaggio unico e inimitabile. A questo punto non mi pare un caso che, nella mozione per il riconoscimento Unesco, quando vengono elencati i danni e i pericoli che hanno corso e corrono gli “antichissimi monumenti”, vengano citati esclusivamente: i tombaroli, lo smantellamento dei monumenti, “ancora nel secolo scorso e più raramente nell’attualità”, per la realizzazione di “edifici pubblici e, più drammaticamente, per produrre ghiaia per strade e ferrovie”; ci passano anche le chiese che “per una forma di sincretismo religioso” (sic) hanno contribuito alla scomparsa dei monumenti. Non scherzo, leggere per credere. Da nessuna parte, invece, troverete indicati lo sviluppo edilizio, turistico, industriale e l’urbanizzazione selvaggia come cause più attuali e cogenti della scomparsa delle aree archeologiche. Questo non aiuta la credibilità della mozione.

Il secondo punto è la visione essenzialista della cultura sarda, legata allo stereotipo insulare, pastorale, fermo nel tempo. I Sardi avrebbero prodotto una cultura/civiltà unica nel periodo nuragico (ma anche pre-nuragico, ogni tanto fanno confusione) e si sarebbero fermati lì; il paesaggio è quello di quel momento, tutto quello che è avvenuto dopo è estraneo ai Sardi. Non esiste una evoluzione culturale, storica, economica e, conseguentemente, del paesaggio, posteriore al momento nuragico. Le nostre campagne sono “scarsamente antropizzate”, nelle quali vivono “popoli che sono parte integrante del paesaggio naturale” (sic). La visione è quella del buon selvaggio, legato a un passato ricco e dominatore, nel quale la Sardegna era potente nel Mediterraneo, ma che con la fine dell’epoca nuragica finisce per vivere in un mondo astratto dalla realtà trasformandosi in “una delle regioni più povere d’Europa”. A questo si aggiunge l’insularità che forgia l’unicità secondo i più vieti pensieri del positivismo ottocentesco e che, non a caso, rimanda all’altro cavallo di battaglia dei Riformatori: “l’insularità in costituzione”.

Il tutto condito con il consueto bagaglio del rivendicazionismo che dipinge l’isola come un grande centro di potere nel Mediterraneo del passato, oggi disconosciuto per la volontà colonizzatrice di mantenere sottomessa l’isola. Ovviamente, in questa visione la volontà del colonizzatore viene individuata nell’occultamento della storia (chissà perché, poi) e non in segni un po’ più attuali ed efficaci di dominio coloniale quali le basi militari, l’industria inquinante ecc. tutti elementi che non compaiono nell’idilliaco paesaggio da presentare all’Unesco.

Seguono, poi, dati messi a caso, come il rapporto ISTAT che dà un valore del 18,4% dei siti presenti in Sardegna rispetto al totale italiano. Un dato appeso nel nulla, che riguarda i siti e musei gestiti, creati qualche decennio fa e che le giunte delle quali i Riformatori fanno parte stanno mandando alla morte. Comunque sia, non si capisce cosa abbia a che fare con l’argomentazione dell’unicità del ‘Nuragico’ (peraltro, parte importante dei siti censiti dall’ISTAT non sono nuragici: Nora, Tharros ecc.). Oppure l’affermazione, assolutamente inventata che il 90 % del patrimonio è abbandonato e spesso neanche censito: dato buttato lì per impressionare. Oppure il territorio sardo “che si distingue per essere uno tra i più densamente ricchi a livello archeologico e monumentale di tutto il pianeta”. Tutte affermazioni che si trovano non solo prive di sostegno ma messe a casaccio nel testo. Infine qualche perla e strafalcione come la Sardegna “fulcro accentratore del commercio del rame, con la costituzione di un vero e proprio monopolio dei costruttori di nuraghi delle rotte commerciali dei metalli” (e via dicendo).

Dal punto di vista politico i Riformatori hanno fatto centro, oltre ad avere al proprio seguito tutti gli altri partiti, buona parte dei Comuni e, financo, l’Università. Comunque vada ne usciranno bene e ringrazieranno per il regalo:

  1. nel caso che l’Unesco approvi, potranno appuntarsi la medaglietta in attesa che il tutto fallisca, come il Parco geominerario, tanto la memoria è corta. Ma soprattutto potranno sostenere che la tutela dell’Unesco è sufficiente e che, quindi, non è necessario gravare i sardi di altre norme (vedi PPR) che, peraltro, sono impegnati a smantellare;
  2. se lo Stato (che è quello che deve fare la proposta) decide di non presentarla, ritenendola giustamente una ciofeca, partiranno le consuete sceneggiate contro lo Stato feroce, nelle quali siamo dei maestri;
  3. se lo Stato, invece, la propone e l’Unesco la boccia, ovviamente ci sono i poteri forti, Soros, i cattivi tedeschi ecc. Un capolavoro politico.

P.S.

La mozione potete scaricarla da questo link

Vi consiglio poi la lettura di un’analisi fatta da Omar Onnis, che trovo molto stimolante e che condivido in toto

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