UniCa 2.0 sceglie il NO

16 Settembre 2016
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Pubblichiamo la nota dell’organizzazione studentesca Unica 2.0 sul sostegno al No nel referendum costituzionale. In linea con la campagna nazionale “kNOw – conoscere per dire no” dell’Unione degli Universitari e della Rete degli Studenti Medi, promuoveremo una serie di dibattiti e di momenti di informazione negli spazi accademici, cittadini e virtuali al fine di contribuire alla creazione di un sano dibattito e di opinioni coscienti.

Crediamo che un argomento così importante e così ricco di effetti sul funzionamento della democrazia in Italia meriti una discussione approfondita e dettagliata, che scenda nel merito delle singole questioni e cerchi di informare sui contenuti effettivi del disegno complessivo (considerando quindi anche la nuova Legge Elettorale) al fine di contribuire a fornire a tutti i cittadini maggiori strumenti di comprensione, sulla base dei quali formulare una propria cosciente opinione.

Dopo differenti incontri di formazione e informazione in merito, UniCa 2.0 ha scelto le modalità con le quali provare a dare il proprio contributo a questa necessaria azione di informazione e creazione d’opinione. La nostra posizione è scaturita dall’analisi delle varie modifiche proposte dalla Renzi-Boschi, e da uno studio delle eventuali conseguenze che l’attuazione di queste proposte potrebbe portare, lasciando spazio in un secondo momento alle considerazioni politiche e all’analisi delle possibili conseguenze, che riportiamo di seguito.

Partiamo dalla prima considerazione: la Riforma costituzionale non è omogenea. In essa non è contenuta logica successione di informazioni tra loro connesse, ma vi sono invece un insieme di riforme, piccole e grandi, che vanno a modificare il testo costituzionale con motivazioni differenti. La critica alla Riforma, perciò, non è perseguibile su un unico disegno di fondo, ma dev’essere data dalla critica alle diverse riforme, valutando di queste ultime i pro e i contro, e ponendole poi su una bilancia tale da poter, in ultima analisi, esprimere un giudizio complessivo su essa. L’esempio migliore di tale disomogeneità negli intenti è la forte asimmetria fra la riforma del Senato e quella del Titolo V: se la trasformazione del Senato in una camera delle Regioni risponderebbe a criteri di maggior regionalismo, concepita per tentare di dare maggior rappresentatività alle istanze territoriali – la riconsegna allo Stato di diverse competenze prima regionali e l’eliminazione della legislazione concorrente corrisponderebbero invece al disegno opposto di centralismo. Le due tendenze, opposte, se assunte assieme nello stesso progetto di riforma divengono difficilmente sostenibili e coerenti.
Per quanto riguarda la partecipazione diretta dei cittadini, si vuole modificare il livello di incisività agli strumenti di democrazia diretta. A fronte dell’innalzamento delle firme necessarie per le leggi d’iniziativa popolare, si assicura la certa calendarizzazione all’esame del Parlamento. La possibilità, tramite 800mila firme, di diminuire il quorum del referendum abrogativo alla metà più uno dei votanti alle ultime politiche, contrubuirebbe ad evitare l’astensione come mezzo più efficace per votare “no”, aumentando le possibilità di riuscita del referendum. Tuttavia, si rende vincolante una decisione approvata da una quota meno rappresentativa del corpo elettorale. L’innalzamento del numero di firme necessarie inevitabilmente è un ostacolo ed una esclusione alla possibilità di incidere, da parte del popolo, sul dibattito parlamentare.

L’elemento che comunque rende maggiormente problematica l’attuale riforma, è il duplice effetto della riforma del Senato e dell’Italicum. Negli ultimi anni, il Senato è stato la camera che ha presentato le maggiori difficoltà di aggregare una maggioranza governativa, perché da eleggere tramite un sistema d’impianto regionale (con le grandi disparità di forza dei partiti politici nei diversi territori). L’abolizione dell’elettività diretta dei Senatori e la drastica riduzione delle competenze del Senato, in particolare la mancanza della questione di fiducia, sono state pensate per eliminare alla radice tale questione. A ciò si aggiunge l’effetto dell’Italicum, che introduce un sistema, quello del ballottaggio, tipico dell’elezione di organi monocratici (ad esempio il Presidente della Repubblica in Francia), e non di un’assemblea collegiale come il Parlamento. Il risultato è che un partito con una rappresentatività reale bassa controlla da solo la maggioranza del Parlamento, mentre l’opposizione – complice una soglia di sbarramento bassa – si ritrova iperframmentata. Con la fine del bicameralismo paritario, se da un lato il procedimento legislativo diventerebbe più veloce e spesso più coerente con il disegno iniziale, dall’altro rischia di trovare poche occasioni nelle quali poter correggere le storture iniziali o nate durante l’iter alla Camera. Rispetto a quest’ultimo punto, considerato prioritario tra i promotori della riforma, è opportuno riflettere sul fatto che in Italia il grande nodo da sciogliere non riguardi tanto la velocità della produzione legislativa quanto la necessità di un corpus legislativo meno elefantiaco e, ancora di più, la garanzia dell’applicazione effettiva delle leggi già in vigore (pensiamo al D.Lgs. 68/2012 che va a riordinare il sistema del Diritto allo Studio ma che all’art. 19 limita la sua stessa applicabilità ed efficacia in base alle “risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente”).

Anche alla luce della concentrazione sostanziale dei poteri legislativi in un solo ramo del Parlamento, è essenziale assicurare la maggiore rappresentatività possibile dei cittadini all’interno della Camera dei Deputati, sia in termini di equilibrio tra i partiti, sia in termini d’indicazione dei componenti di essa: l’esigenza, pur rilevante, di governabilità non può – come indicato dalla Corte Costituzionale – comprimere fino a rendere modesta la questione della rappresentatività del Parlamento, essenziale per garantire il necessario livello di qualità della democrazia, nonché per assicurare un’imprescindibile autonomia del poter legislativo da quello esecutivo, tema centrale nelle moderne democrazie.

La riforma del Titolo V rimane uno dei nodi più intricati: viene riformato (dopo l’intervento fatto nel 2001) il sistema di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, eliminando di fatto la potestà concorrente e riordinando le competenze esclusive statali e regionali. Al di lá delle considerazioni tecniche, difficili da operare trattandosi di un testo costituzionale che quindi non disciplina nel dettaglio le modalità di attuazione, è possibile comunque esprimere qualche considerazione politica nel merito della questione, in particolare per quanto riguarda il capitolo del Diritto allo Studio Universitario (DSU), e di ricerca e sviluppo, che ci tocca da vicino. In sostanza si accentra il sistema di finanziamento del DSU, lasciando alle Regioni un ben poco chiaro ruolo di “promozione” dello stesso. Se in linea di principio una gestione centrale dovrebbe garantire più omogeneità e meno sperequazione nel finanziamento e nell’allocazione delle risorse, la preoccupazione più grande riguarda l’effettiva attuazione di tale ripartizione. In particolare, considerando le posizioni espresse più volte dai membri del Governo riguardo la necessità di creare pochi poli universitari di eccellenza e dunque un sistema con “università di serie A e di seri B” (citando proprio il Presidente del Consiglio), temiamo che la gestione centralizzata possa essere operata in linea con questa visione, esplicitando tutte le conseguenze dannose intrinseche in essa: aumento del divario Nord/Sud, impoverimento culturale del meridione, emorragia di iscritti negli Atenei del Sud e Isole etc.

Per questi motivi la nostra scelta è quella di schierarci in senso contrario alla riforma e dunque per il NO al referendum. In linea con la campagna nazionale “kNOw – conoscere per dire no” dell’Unione degli Universitari e della Rete degli Studenti Medi, promuoveremo una serie di dibattiti e di momenti di informazione negli spazi accademici, cittadini e virtuali al fine di contribuire alla creazione di un sano dibattito e di opinioni coscienti.

1 Commento a “UniCa 2.0 sceglie il NO”

  1. Quintino Melis scrive:

    “Crediamo che un argomento così importante e così ricco di effetti sul funzionamento della democrazia in Italia meriti una discussione approfondita e dettagliata, che scenda nel merito delle singole questioni ”
    Questa era la premessa, interessante e condivisibile. Peccato che sia stata completamente disatteso esi sia parlato quasi esclusivamente di legge elettorale, che non c’entra niente con la riforma, e quasi niente del merito. Giusto per capirci, non si è citato un articolo riformato.
    Per la democrazia diretta. Il superamento della possibilità di affossare i referendum con l’astensione viene svalutato perché nella riforma , giustamente, si aumenta il numero delle firme necessarie perché si devono avere maggiori garanzie che il quesito sia voluto da un numero consistente di persone. Analogo discorso per le leggi di iniziativa popolare, visto che si obbliga il parlamento a discuterne, cosa che quasi mai si è fatta finora.

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