Vendere Cappellacci
16 Gennaio 2009
Mario Cubeddu
Il Berlusconi sentito alla Fiera di Cagliari il 10 gennaio richiama alla mente “Il venditore”, al centro del libro che a lui dedicò Giuseppe Fiori poco tempo prima di morire. Egli aveva forse in mente gli imbonitori che venivano nelle nostre piazze a proporre una merce in aggiunta un’altra a un prezzo sempre più stracciato. In questo caso doveva piazzare un candidato alla Presidenza della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, che ha come pregio principale quello di essere il figlio del commercialista nel cui studio vide la nascita il “complesso disegno societario di Canale 5”, come lo ha definito un quotidiano sardo. Se si tiene conto del fatto che Romano Comincioli, il curatore degli affari di Berlusconi in Sardegna, è anche il vero vicerè del suo partito nell’isola, si avrà un’idea della mescolanza di politica e affari in chiave coloniale che vi si è realizzata. Berlusconi ha dunque preso per mano il suo candidato e lo ha presentato ad una folla convinta che l’esistenza di Silvio sia paragonabile a quella di un dio tutelare: “meno male che Silvio c’è”. L’impresa di vendere al popolo sardo Ugo Cappellaci non è facile, vista la qualità del prodotto. Ad esempio l’uomo, anche lui commercialista, non è ancora maturo per affrontare le folle, pur essendo stato già assessore alla Regione Sarda e al Comune di Cagliari. Gli hanno detto di muovere le braccia per salutare a destra e a manca, per far vedere che sa sorridere, conosce tutti ed è circondato da amici, e lui lo fa. Berlusconi nell’introdurlo racconta di avergli raccomandato di scrivere il discorso da pronunciare: quel che avrebbe perso in spontaneità lo avrebbe guadagnato in sicurezza. Dice poi che il candidato ha vegliato per 5 ore durante la notte per prepararsi. Il risultato sono 15 minuti esatti di un discorso vuoto in cui il concetto essenziale è quello che bisogna uscire da un clima di depressione e tristezza e che “la Sardegna deve tornare a sorridere”. Cosa ci sia da ridere nel mondo in crisi e in una Sardegna che vive nel mondo rimane difficile da capire. Il centro del discorso di Cappellacci si riassume in un PIT, Persona, Impresa, Territorio, sintesi elementare di principi liberali e di un richiamo alla mobilitazione degli egoismi del ceto politico territoriale, la classe amministrativa parassitaria che gestisce la dipendenza della Sardegna. Da questa cortina di fumo dovrebbero sbucare per miracolo i 100.000 nuovi posti di lavoro che Cappellacci promette ai sardi. In che modo? Siccome il candidato si è evidentemente inceppato e ha fretta di chiudere, è Berlusconi a esporre le azioni del piano Cappellacci per lo sviluppo della Sardegna e la sconfitta della disoccupazione giovanile. Altro che Progetti Sardegna” vecchi e nuovi. Berlusconi elenca: vendere mirto, lentischio, corbezzolo, gli elementi che rendono così bella la macchia mediterranea sarda; trasformare la Sardegna in un enorme parco archeologico con 7.000 straordinari monumenti, i nuraghi; destagionalizzare il turismo, è inconcepibile che la Sardegna attragga visitatori solo in luglio e agosto. Queste straordinarie e inedite proposte di azione economica, sociale, politica e culturale, mandano in visibilio la folla che scandisce “Silvio, Silvio”. Che può lasciare lo spazio angusto della politica sarda e spaziare in quella dell’Italia che si è assunto l’onere di governare. Qui l’atteggiamento è sempre quello del venditore: enfatizzare i pregi della propria merce e svilire quella dell’avversario. Riuscendo a proporsi come uno che è entrato in politica pochi mesi fa, quando ha rivinto le elezioni, e non come colui che condivide le responsabilità dirette di ciò che è successo in Italia dal 1994. Molti che gli stanno a fianco, a partire dall’osannato Beppe Pisanu, portano la responsabilità di molto di quello lui dice di “aver trovato” entrando a Palazzo Chigi. Ma non è solo e tanto Berlusconi a voler vendere Cappellacci al popolo sardo. Qualità e quantità della gente presente alla Fiera di Cagliari il 10 gennaio non autorizzerebbero molto ottimismo. E’ una fetta piccola e ben individuata della popolazione: gente di città, commercianti, professionisti, uno strato di piccola borghesia risentita contro le pratiche e i linguaggi della sinistra. Pochi, ma che hanno imposto un’egemonia che passa per le apparizioni e i linguaggi della televisione. Ma viene anche da pensare che non poco hanno contato gli errori dello schieramento avversario, la sua superbia, un eccesso di conflittualità sconfinante nell’autolesionismo. Ancor prima e più di Berlusconi c’è nella vicenda sarda di questi anni e di questi giorni un altro elemento. E’ il ruolo esercitato dalla campagna martellante condotta dal gruppo economico ed editoriale ed economico che ruota intorno ad un costruttore, proprietario del quotidiano l’Unione Sarda e di Videolina. Che ieri parlava della cifra assurda di 5.000 presenti, ignorando le sedie vuote nel padiglione fieristico. Questo gruppo che traduce in sardo il conflitto di interessi di Berlusconi, rappresenta ormai una vera emergenza democratica. Ed è uno dei fattori principali dell’allarme che sente in prospettiva futura ogni sardo progressista di fronte alla prospettiva che lo schieramento di centro-destra possa prevalere. Alla Fiera c’era molto di artificiale, una vernice facile da scrostare, che fa pensare che non tutti i giochi sono fatti e che il centro- sinistra potrebbe ancora vincere. Avendo la coscienza della grande importanza della posta in palio in una delle poche occasioni in cui da sardi si può dare un contributo importante alla vicenda della libertà e della democrazia nella propria terra e in Europa.