Verso il 621° anniversario della morte di Eleonora d’Arborea

1 Giugno 2024

[Francesco Casula]

Non si ha certezza sulla data della morte di Eleonora d’Arborea. “Di recente era in auge il 1402 – spiega Giampaolo Mele, direttore scientifico dell’ISTAR -, alcuni documenti barcellonesi parlano chiaro: fine maggio 23 giugno 1403.

Le fonti citano fra gli altri Giorgio Curculeu, abitante di Stampace che si recava ad Aristanis per consegnare alcune lettere del governatore “a la Juighissa d’Arborea e a son fill”. Ma dal 23 giugno 1403 il nome della Juighissa non ricorre più nei documenti della Corona d’Aragona.

Prima di entrare in medias res, raccontando la figura storica di Eleonora, due premesse per liquidare alcuni luoghi comuni ancora largamente diffusi:

Due luoghi comuni da liquidare

1. Il primo attiene alla sua “icona” all’immagine di Eleonora d’Arborea, che solitamente vediamo riprodotta non solo nelle copertine dei libri ma persino sulle confezioni dei prodotti alimentari. Ebbene essa è falsa: rappresenta Giovanna La Pazza – figlia di Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia e non la regina-giudicessa, passata alla storia per la straordinaria Carta de Logu che sarà vigente in Sardegna per più di 400 anni.

   In questo “falso” ci sono cascato anch’io nel volume che su di lei ho scritto in lingua sarda (Leonora d’Arborea, Alfa Editrice, Quartu, 2006). Ma ecco come descrive e spiega l’origine del “falso” Francesco Cesare Casula, eminente storico medievista, già docente di Storia Medioevale dell’Università di Cagliari: ”Cinquant’anni dopo la morte di Giovanna la Pazza avvenuta nel 1555, un pittore napoletano di maniera, certo Bartolomeo Castagnola, ricopiò a Cagliari un suo ritratto che fu riscoperto nell’Ottocento da un ignoto cultore di storia sarda il quale, in clima albertino di ricostruzione delle patrie memorie e di esaltazione romantica, vi scrisse in calce: D(OM)INA LEONORA, credendo o volendo far credere che si trattava di un dipinto trecentesco della famosa giudicessa Eleonora d’Arborea.

E tale, dal 1859 in poi, è stato sempre accettato e ammirato dai Sardi di ieri e di oggi i quali, ignorantemente, continuano a riprodurlo dappertutto”. Sarà lo stesso Casula a individuare invece l’immagine autentica di Eleonora nel 1984 quando la ritrovò effigiata nei peducci pensili della volta a crociera dell’abside della chiesa di San Gavino Martire in San Gavino, insieme al busto del padre Mariano IV, del fratello Ugone III e del marito Brancaleone Doria. Nel volto di Eleonora (parte sinistra) è evidente una vasta cicatrice.

Bene. Proprio nei giorni scorsi a Mogoro, durante i lavori di restauro di una casa privata, è stato ritrovato un busto in altorilievo, che prepotentemente si stacca dalla chiave di volta di un arco. Sembra proprio di Eleonora e comunque rassomiglia enormemente – anche in questo è presente una vasta cicatrice nella parte sinistra del volto – a quello scoperto a San Gavino da Casula. In autunno è previsto un Convegno scientifico, con storici italiani ed esteri per una valutazione definitiva del ritrovamento e anche per chiarire la frequentazione della giudicessa-regina d’Arborea a Mogoro, in una casa privata.

2. Il secondo luogo comune attiene al suo ruolo di giudicessa-regina. Continuo a sentire e leggere: la Giudicessa Eleonora d’Arborea. Anche recentemente da parte di importanti personaggi politici sardi. È vero: ma a livello di comunicazione, rivolta a un pubblico generico, simile locuzione (Eleonora giudicessa) può ingenerare equivoci e confusione. L’ascoltatore (o il lettore comune) sentendo/leggendo “Giudicessa”, a cosa pensa? A un magistrato?

   Per evitare simili equivoci, a mio parere occorre sempre dire e scrivere “Eleonora d’Arborea giudicessa-regina. I Giudicati sono infatti dei veri e propri Regni: sos Rennos sardos: con ordinamenti propri, un territorio, frontiere, accordi interni, rapporti esterni e esteri. C’è di più: in tutte le iscrizioni e i sigilli appare la scritta: Iudex sive rex (Giudice ossia re). Investito della summa potestas (somma potestà): non cognoscens superiorem (che non riconosce uno superiore).

   Certo di tratta dei “regni” particolari e specifici: intanto erano regni non patrimoniali (cioè di proprietà del sovrano), come erano quelli del medioevo italiano ed europeo feudale, ma superindividuali (o subiettivi). Ma soprattutto non erano sovrani “assoluti”, come lo saranno tutti i sovrani europei dopo la fine del Medioevo feudale. Sono sovrani costituzionali e “democratici” ante litteram, O meglio semidemocratici, scelti con un sistema misto: da una parte vige l’ereditarietà dall’altra l’elezione da parte della Corona De Logu, Essa è strumento deliberativo del Governo, in quanto Assemblea dello Stato, un vero e proprio Parlamento che si riunirà – per quanto attiene al Giudicato di Arborea – inizialmente nelle Curatorie e poi a Oristano, quando questa si afferma come capitale importante.

   Il Giudicato era diviso in Curatorie (una sorta di Circoscrizione o Provincia): il numero variava da Giudicato a Giudicato. Arborea ne aveva 14. Ogni Curatoria inviava alla Corona De Logu un suo rappresentante, la capitale ne mandava due. Il rappresentante era scelto, a sua volta, fra i rappresentanti delle singole ville (sas biddas) che erano stati inviati alla Curatoria stessa.

   La Corona De Logu come Parlamento aveva queste tre funzioni:

1.Intronizzare il nuovo sovrano.

2.Decidere le Paci e le Guerre.

3.Deliberare sui rapporti internazionali e le politiche inerenti.

   Il giudice-re governava sulla base di un patto con il popolo (chiamato bannus consensus): il potere veniva infatti concesso al Giudice-re (con l’intronizzazione) in cambio del rispetto delle prerogative popolari, tramite la Corona de Logu, ovvero il Parlamento.

Se non rispettava tale patto, poteva essere detronizzato e persino legittimamente giustiziato dal popolo stesso.

Sempre a proposito del Giudicato-Regno, basta riferirsi al Proemio alla Carta De Logu in cui Eleonora stessa precisa che la Carta di Mariano IV da sedici anni non era stata rivista e poiché non rispondeva più ai bisogni delle nuove condizioni sociali, occorreva rivederla e aggiornarla:”pro conservari sa Justicia et in bonu, pacificu e tranquillu istadu dessu pobulu dessu RENNU nostru…dessa terra nostra e dessu RENNU de Arbarèe”.

      Certo si potrà persino obiettare che Eleonora pur chiamandosi giudicessa, ovvero regina, non fu regina regnante ma reggente (il figlio maggiore Federico Doria-Bas, non aveva la maggiore età e lei governò in sua vece) ma si tratta di una distinzione da azzeccagarbugli, di formalismo giuridico (peraltro del diritto di quei tempi). Ma la sostanza non cambia.

La figura di Eleonora

Dopo l’uccisione di Ugone III, il 15 marzo 1383 fu chiamato a regnare il figlio maggiore di Eleonora, Federico Doria-Bas. Ma non avendo la maggiore età (era nato nel 1377), in linea con le consuetudini giudicali, governò in sua vece la madre, che pur chiamandosi “giudicessa”, ovvero regina, non fu regina regnante ma reggente. Passerà alla storia come simbolo di unità e di indipendenza della Sardegna.

   Giuseppe Dessì, il grande scrittore di Villacidro, una volta ebbe a scrivere, fra il serio e il faceto, che la Sardegna aveva avuto nella sua storia solo due grandi uomini: Eleonora d’Arborea e Grazia Deledda.

   Molti storici, per la sua grandezza, il suo ruolo storico e la sua opera hanno paragonato Eleonora a Caterina II, imperatrice di tutte le Russie.

   Il Giudicato-regno di Arborea conosce i tempi di maggior prestigio con i Giudici Mariano II (morto nel 1297), Mariano IV (1346-1376) ma soprattutto con Eleonora (1330-1403), con cui Arborea è riuscita a conquistare l’intera isola fatta eccezione solo per Castel di Cagliari e Castel d’Alghero, appartenenti al regno di Sardegna. In altre parole, unifica sotto il suo scettro l’intera Sardegna, sconfiggendo a più riprese l’esercito aragonese: in condizioni difficilissime e sotto il ricatto de re Pietro IV d’Aragona che minacciava di non liberare il marito Brancaleone Doria – che aveva arrestato a Barcellona e poi condotto prigioniero a Cagliari – se non avesse posto fine alla guerra e non si fosse arresa.

Ma ancor più del suo ruolo politico è importante la sua opera giuridica con l’emanazione della Carta de Logu, probabilmente nel 1392. Sicuramente è il Codice legislativo più importante e più noto del medioevo sardo e non solo sardo.

   Si tratta dell’unica Costituzione che la Sardegna nella sua storia ha avuto che non sia octroyé, ottriata: ovvero concessa dall’alto e da “fuori”. Elaborata localmente dunque e indigena essa è espressione, anche linguistica, di una autorità isolana. La lingua che utilizza Eleonora nel suo codice è la lingua sarda. Un sardo-arborense che é una miscela di logudorese e di campidanese ma anche con molto lessico specifico e originale.

 “Il sardo colto – scrive un grande studioso della Carta, Marco Tangheroni – che va visto nel quadro di una consapevole volontà politica dei Giudici di Arborea di presentarsi come interpreti e guide dell’intera nazione sarda”.

   E aggiunge: “Il termine «nazione sarda» è usato correntemente nel Trecento, e in misura crescente quanto più la guerra accentuava le differenze e le contrapposizioni con «la nazione catalana». Così, ad esempio, da una connotazione neutra essa assume nella propaganda catalana una caratterizzazione dispregiativa: “es nacion que tots temps es estrada en servitud”.

   L’impronta di Eleonora è particolarmente presente nell’articolo riguardante la violenza contro le donne: di una modernità incredibile.

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