Verso le elezioni europee
26 Marzo 2019[red]
Il documento del sulle imminenti elezioni europee del Coordinamento per la democrazia costituzionale.
La dimensione europea è oggi indispensabile per l’agire politico ed economico dell’Italia. Solo una vera unione europea può garantire la pace in un continente dal quale sono partite ben due guerre mondiali e contemporaneamente essere un agente attivo di pacificazione dei conflitti che si sviluppano nel mondo. Solo una vera unione europea può essere in grado di correggere le ingiustizie sociali e le contraddizioni di cui è responsabile la globalizzazione che ha provocato un crescente dualismo nella ripartizione della ricchezza e del reddito nelle popolazioni e tra aree territoriali. Solo a livello sovranazionale e in primo luogo europeo si può fronteggiare il capitale finanziario che in assenza di controlli e di opportune tassazioni provoca la drastica compressione del lavoro sul piano dei redditi e del sociale e l’accentramento delle risorse e delle decisioni in poche mani. In uno spazio europeo è possibile garantire i diritti individuali e collettivi (come ha dimostrato in questi anni l’intensa attività delle Corti sovranazionali), superando e rifiutando qualsiasi deriva nazionalistica o xenofoba.
Ma, senza una decisa svolta, l’attuale Unione europea rischia di implodere. Ne è un sintomo fin troppo sottovalutato la Brexit, il cui avvicinarsi sta creando forti dubbi e ripensamenti nella stessa Gran Bretagna. Di fronte alla possibilità di riaprire vecchie ferite con l’Irlanda del nord, emerge il valore insuperabile del sistema di convivenza fra i popoli garantito dalla comune appartenenza all’Unione Europea Non a caso in Europa è cresciuta un’ondata neo nazionalista, in alcuni casi apertamente neofascista, che contrasta in modo reazionario i processi politici sovranazionali in nome di un ritorno a meschini egoismi e alla logica delle “piccole patrie”, che portano anche a progetti di divisione tra regioni forti e regioni deboli nel contesto europeo e in quelli nazionali, basta pensare al disegno dell’autonomia regionale differenziata nel caso italiano che e’ in realta’ “secessione dei ricchi”. Queste forme di pericoloso populismo trovano spazio e ascolto per gli errori e i limiti dell’attuale processo di integrazione europea che, fin qui, è stato prevalentemente fondato sui Trattati di Maastricht e sulle successive rivisitazioni ed accordi aggiuntivi.
La battaglia va’ quindi condotta contemporaneamente su due fronti. Da un lato va’ superata l’idea che il progressivo processo di integrazione monetaria ed economica avrebbe di per sé portato ad una adeguata dimensione democratica istituzionale e politica. Quella attuale è fondata su una costruzione istituzionale che non ha portato ad una democrazia compiuta e partecipata. Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale con legge proporzionale, ma i suoi poteri sono molto limitati, essendo questi concentrati negli organismi non elettivi e intergovernativi (come la Commissione, il Consiglio, l’Ecofin) ed economici, come la Bce. Questi organismi hanno portato avanti una deleteria politica di austerità, che trova fondamento nel c.d. Fiscal Compact, un Trattato assunto al di fuori del perimetro del diritto comunitario, incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali e i suoi principi universali e con gli obiettivi di coesione economico sociale indicati nei Trattati. Questa politica si è accanita contro i paesi più deboli del Sud dell’Europa, mentre ai paesi più forti come la Germania è stato consentito di arrivare a surplus eccessivi senza attivare alcun rimedio. Le politiche monetaristiche fondate sul dogma dell’ austerità non hanno risolto la grave crisi economica, che in Europa sta durando più che in altre parti del mondo e ha portato alla recessione alcuni paesi, da ultimo l’Italia. Dall’altro lato va respinta ogni falsa illusione che uscendo dall’Unione europea e dall’euro si possa risolvere lo stato di crisi. Anzi simili scelte comporterebbero un peggioramento immediato delle condizioni di vita, in primo luogo dei ceti più deboli a causa degli incrementi di inflazione – tanto più in assenza di meccanismi di difesa automatica delle retribuzioni – e delle manovre speculative cui quei paesi sarebbero più facilmente esposti. Le difficoltà e le enormi contraddizioni che comporta la Brexit ne sono un esempio.
Occorre quindi lavorare da subito per costruire un nuovo campo d’azione istituzionale, politico e sociale, costruendo insieme alle altre forze europee democratiche un’azione per spingere l’Unione europea ad una profonda inversione delle politiche economiche e sociali, stabilendo la priorità della ricerca di una piena e buona occupazione, anche attraverso una revisione dei Trattati. Non si tratta soltanto di abbandonare le politiche di austerità ma di porre le necessarie premesse per uno sviluppo equilibrato di tutto il continente, che abbia come pilastri fondamentali occupazione, coesione sociale, accoglienza e integrazione cooordinata dei migranti e miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, eliminando con decisione la concorrenza al ribasso tra gli Stati: dal fisco al lavoro. Solo così, rilanciando il modello sociale europeo che un tempo ci veniva invidiato anche dai paesi più ricchi, la Ue può essere un agente attivo per mantenere la pace nel mondo e spegnere i troppi focolai di guerra e di scontro che sono aperti.
Perché questo ruolo sia effettivo e credibile bisogna cancellare ogni idea di costruire fortezze, di alzare steccati e muri, di chiudere i porti, di appaltare ad altri paesi come la Libia la costruzione di lager in cui non sono garantiti né la vita, né la dignità delle persone rinchiuse. L’Europa deve agire nel quadro dell’ONU per risolvere le principali crisi internazionali e considerare l’immigrazione come una risorsa che va regolata garantendo protezione a chi ne ha bisogno nell’ambito del diritto delle persone alla libera circolazione (quella che adesso viene garantita solo alle merci e ai capitali), alla ricerca di una vita migliore, ricca di diritti e di futuro. L’immigrazione regolata insieme all’accoglienza possono essere un vantaggio per il nostro vecchio continente, dal punto di vista culturale, sociale, demografico e anche economico.
Anzitutto occorre lavorare per una cittadinanza sociale europea. Uno status dei diritti che l’unione garantisce a donne ed uomini. Capace in primo luogo di abbattere in ogni campo ogni discriminazione ed uniformare i diversi livelli di servizi sociali tra i paesi dell’Unione e garantirne la piena agibilità ed esigibilità. Bisogna affrontare non solo nei singoli paesi ma a livello comunitario i grandi temi che permettano una conversione ecologica dell’economia. La difesa dell’ambiente e del territorio la lotta contro le perniciose mutazioni climatiche non possono essere scisse da quelle per un nuovo modello di sviluppo, fondato su una innovazione non distruttiva dell’ambiente naturale e sociale; per una politica fiscale coordinata che permetta la giusta tassazione dei nuovi soggetti economici globali (Google, Facebook, Amazon etc) e la lotta contro i paradisi fiscali; per una giustizia fiscale, basata sulla progressività delle imposizioni, sulle tassazioni delle grandi ricchezze nelle loro varie forme e delle transazioni speculative (Tobin tax); per l’eliminazione dei paradisi fiscali, eliminando da subito quelli che sono all’interno della Ue; per la creazione di lavoro puntando sui settori innovativi; per una giusta retribuzione europea, abbattendo i dumping salariali, e per un’efficace tutela del lavoro, attuando livelli retributivi e diritti di livello europeo, con politiche attive del lavoro unificate a livello continentale; per il diritto a un reddito di base che sottragga giovani e disoccupati dal ricatto dei lavori precari o in nero; per il diritto alla casa, all’ assistenza e previdenza pubbliche.
Si tratta in sostanza di dare vita a un grande progetto, un new deal a livello continentale, di cui la stessa Unione deve essere direttamente responsabile in modo unitario, senza fare venire meno le responsabilità specifiche dei singoli stati nazionali nell’attuazione di queste politiche. In questo ambito è prioritario anche al fine di dotarsi degli strumenti per prevenire le crisi di adottare forme di controllo cogenti sul sistema finanziario e sulle banche, introducendo la separazione tra quelle commerciali e di affari. Per questo il tema del debito deve essere affrontato a livello europeo, cancellando in primo luogo le disastrose normative del Fiscal Compact, stabilendo principi di mutualizzazione e scelte di riduzione e di ristrutturazione dei debiti degli Stati più in difficoltà, dal momento che il loro fallimento aprirebbe voragini non riparabili nell’edificio europeo e in questo ambito occorre decidere forme di solidarietà per la parte dei debiti nazionali superiori al 60 %. Abbiamo quindi bisogno di aumentare a livelli adeguati il bilancio comunitario che, sotto l’input del Parlamento europeo, deve affrontare direttamente alcuni capitoli di entrata e di spesa, finora lasciati a livello nazionale, in un’ottica di bilancio consolidato a livello europeo.
Occorre ripensare e democratizzare l’attuale struttura istituzionale europea, costruendo un sistema realmente rappresentativo, che le attuali regole non garantiscono in pieno, mettendo il Parlamento in grado di esercitare il potere legislativo e un reale controllo politico sugli altri organi europei. In questo quadro va rivisto il quadro delle norme che presiedono all’attività della Bce, il cui compito deve essere finalizzato prioritariamente allo sviluppo sostenibile e all’occupazione e prevedendo interventi diretti con modalità meno onerose anche nel risanamento dei debiti pubblici degli Stati. Attraverso la totale autonomia garantita alla Bce si è in realtà sancito finora il primato dell’economia finanziaria sulla politica. Tale rapporto va invertito e la Bce deve diventare uno strumento per permettere la applicazione delle linee generali di politica economica decise dal parlamento e rispondere a questo, quale prestatore di ultima istanza europeo.
Il CDC vuole contribuire a delineare una proposta di riforma istituzionale dell’Unione, con l’obiettivo di trasformare la stessa in una democrazia parlamentare pienamente rappresentativa nella prospettiva di una sua costituzionalizzazione e di una dimensione federale. Le nuove normative che sono state introdotte durante l’attuale grande crisi economica lungi dal risolvere la stessa sono stati altrettanti giri di vite in un’ottica a-democratica che ha rafforzato ogni forma di burocratismo, di centralismo, di distanza dalla vita delle persone, di incapacità e mancanza di volontà di decisioni comuni e solidali, rafforzando l’asse franco-tedesco, con la corona di quei paesi fortemente dipendenti dal sistema produttivo tedesco, a scapito dell’Europa del Sud e nello stesso tempo dando nuovo spazio alla cosiddetta Europa di Visegrad, quella dei paesi dell’Europa dell’est diretti da governi apertamente xenofobi, razzisti e fascistoidi.
Nello stesso tempo bisogna che la Ue agisca a livello mondiale per impedire che le grandi forze economiche progettino accordi e nuovi trattati che tolgono potere alle sedi pubbliche e puntano a creare un proprio spazio giuridico, mettendo sullo stesso piano, o al di sotto, le decisioni di Stati, di comuni, di enti locali rispetto ai grandi gruppi economici fino a regolarne i rapporti con arbitrati e tribunali, subordinando i diritti delle persone alla salvaguardia degli interessi e dei profitti.
In questo quadro di democratizzazione dell’Unione è necessario promuovere e definire una riforma elettorale che preveda liste per le elezioni europee non più su base nazionale, con candidature di carattere europeo, In sede di Nazioni Unite l’Unione Europea dovrebbe operare per ottenere un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza e farsi promotrice dell’individuazione delle sedi e dei trattati che possono consentire a livello mondiale il controllo, la regolazione dei capitali e dei loro movimenti, superando una visone puramente finanziaria dell’economia globale.
Per tutte queste ragioni invitiamo ad andare a votare il 26 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo sulla base di un progetto di rinnovamento coerente. La partecipazione dei cittadini sarà decisiva per il cammino futuro dell’Unione europea. Abbiamo bisogno di una svolta civile, sociale e democratica, se vogliamo realizzare quello che negli anni cupi della guerra, quando venne scritto il famoso documento di Ventotene, appariva solo un sogno.