La jihad delle mille e una notte
1 Gennaio 2008
Manuela Scroccu
Le mille e una notte è uno dei pilastri della cultura mondiale. Pochi riflettono sul fatto che quest’opera esalta il trionfo della ragione sulla violenza, raccontando di come una donna seppe combattere contro la brutalità del marito. Sherazade viene offerta come vittima sacrificale al re tiranno e crudele che ha ordinato, per vendicare l’onta del tradimento della precedente moglie, di condurgli ogni notte una nuova vergine da sposare e violentare, prima di farla giustiziare dal boia per espiare la malvagità insita nell’animo femminile. Le mille e una storie, colme di saggezza e sensualità, che l’eroina inventa ogni notte per il crudele re la salveranno dalla morte e faranno riconoscere al despota che il lungo dialogo con la moglie ha avuto la forza di cambiare la sua concezione del mondo. Sherazade, nell’interpretazione femminista della scrittrice marocchina Fatima Mernissi, è la figura simbolo scelta dall’europarlamentare Lilli Gruber per introdurre il suo libro Figlie dell’Islam edito da Rizzoli, che raccoglie le voci e le storie di un universo femminile complesso e vivissimo che si batte con straordinario vigore per il riconoscimento dei propri diritti in una realtà maschilista che usa il Corano per legittimare il proprio dominio. Donne che rivendicano un ruolo attivo nella società, che invitano le “sorelle” ad emanciparsi, utilizzando proprio il messaggio di uguaglianza del profeta contenuto nel Corano, portatore di diritti e libertà. Sono donne che rivendicano il loro diritto di agire nello spazio pubblico, consapevoli di essere l’elemento chiave nascosto, il vero motore del cambiamento ma capaci anche di interrogarsi sul ruolo dell’islam e sulla necessità di rileggere i testi sacri alla luce delle mutate realtà sociali. Come Fatima Naseef, docente di studi islamici dell’Università di Gedda e autrice di Diritti e doveri della donna nell’Islam, in cui si fa portavoce di una corrente di pensiero che invita le donne musulmane a riappropriarsi del messaggio coranico partendo dalla predicazione di Maometto, il quale afferma “Le donne sono fratelli degli uomini”. Come Shirin Ebadi, premio Nobel che si batte per cambiare quelle leggi del suo Paese, l’Iran, che discriminano le donne.
Le figlie dell’islam raccontate dalla Gruber sono jihadiste, a loro modo. Jihad significa, infatti, lotta contro l’oppressione e tutte loro combattono una battaglia pacifica, armate solo della loro determinazione e della loro intelligenza, convinte, come sostiene Nawal el-Saadawi, psichiatra, scrittrice, intellettuale e femminista egiziana, che “non c’è niente di più pericoloso della verità in un mondo che mente” e che “il velo sul cervello è molto peggio del velo sui capelli perchè la mutilazione peggiore non è quella genitale ma quella intellettuale”.
Maschilista e violento oppure ingiustamente accusato di imporre il velo all’altra metà del mondo? Ci fa paura il Corano? E’ il testo sacro dei musulmani che alimenta la violenza e la misoginia oppure i colpevoli sono coloro che lo brandiscono come un’arma, violando sia l’umanità che la religione? Le voci raccolte dall’autrice in questo libro dipingono tante facce di una realtà complessa in cui, ormai da secoli, la politica ha preso in ostaggio la religione. I governati attuali se ne servono per legittimare un potere discutibile e, a volte, inesistente. L’islam viene usato per giustificare il monopolio del potere, politico ed economico, assicurato con il controllo poliziesco dei sudditi. Non a caso molte donne fanno del riappropriarsi dei principi di base del messaggio di Maometto, giustizia ed uguaglianza, una fonte di ispirazione per la contestazione dei regimi autoritari.
Mentre scrivo, Benazir Bhutto, un’altra figlia dell’Islam, leader dell’opposizione pakistana, prima donna premier in un Paese musulmano, simbolo, anche se molto controverso, di un Islam moderno, è stata assassinata da poche ore. Le prime e contraddittorie notizie parlano di un kamikaze che dapprima ha esploso alcuni colpi d’arma da fuoco e, successivamente si è fatto saltare in aria nel mezzo di un comizio elettorale a Rawalpindi, uccidendo almeno 15 persone. L’ex premier aveva appena finito di parlare al raduno per le elezioni parlamentari previste per l’8 gennaio. Questa volta la forza della parola che aveva aiutato Sherazade non ha potuto far altro che soccombere alla furia del fondamentalismo. Sono le ore del cordoglio internazionale e dei proclami contro i vili attacchi terroristici, delle convocazioni d’urgenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, degli inviti alla calma mentre il Pakistan precipita inesorabilmente verso il caos e la guerra civile.
L’importanza della battaglia rivoluzionaria delle donne nei paesi islamici si mostra in tutta la sua importanza: la questione femminile è al centro del dibattito sulla vera democrazia nel mondo musulmano. L’Undp, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo, sostiene ormai con forza che l’ascesa delle donne è il requisito fondamentale del nuovo rinascimento arabo. Il futuro, anche economico, passa per le tante donne musulmane che non è più possibile escludere dai processi produttivi e politici della società globale. Pensare allo sviluppo di una società, non soltanto islamica, senza l’intervento e la piena partecipazione delle donne è ormai impensabile. La stessa democrazia, che si vorrebbe “esportare” con gli eserciti, non può prescindere dall’intervento e dalla piena partecipazione delle donne. E non soltanto nelle società islamiche. Il potere della parola e del dialogo, di cui noi donne possiamo dirci custodi come l’eroina de Le Mille e una notte e che ci unisce idealmente alle “sorelle dell’Islam”, è l’unica arma che vale la pena di sguainare contro i mali del dispotismo e dell’estremismo religioso e contro le tentazioni di un occidente che sembra sempre più desideroso di costruire muri e lanciare proclami di guerre permanenti. “Le leggi sono fatte dai maschi” dice la scrittrice marocchina Fatima Mernissi “ma le donne conservano il potere di infrangerle”.