Vivere in un inferno: In Indonesia persone malate di mente incatenate e imprigionate

1 Aprile 2016
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Sam Jones

Pubblichiamo il drammatico reportage apparso sul The Guardian il 21 marzo 2016, a firma di Sam Jones e tradotto da Aldo Lotta sulla mancanza di cura della salute mentale e di sostegno sociale che lascia quasi 19.000 indonesiani vulnerabili a pratiche illegali, come rivela la Human Rights Watch (Red).

Quasi 40 anni dopo che l’Indonesia ha vietato la pratica di ammanettare le persone in precarie condizioni di salute mentale, secondo un nuovo rapporto di Human Rights Watch (HRW), quasi 19.000 malati vivono ancora in catene, o sono rinchiusi in istituti dove sono esposti ad abusi.

Lo studio dice che anche se il “Pasung” – ammanettare o imprigionare le persone con disabilità psico-sociali – sia stato vietato nel 1977, la stigmatizzazione e una cronica carenza nelle pratiche di gestione della salute mentale e di servizi di supporto fa sì che il suo utilizzo rimanga molto diffuso.

Le persone sottoposte a Pasung possono avere le caviglie legate con catene o con blocchi di legno per ore, giorni, mesi o addirittura anni. Esse sono spesso tenute all’aperto, nude e impossibilitate a lavarsi. Dati recenti del governo indonesiano suggeriscono che più di 57.000 persone in Indonesia hanno sopportato il Pasung almeno una volta, mentre si stima che in 18.800 siano attualmente incatenati o bloccati.

Nel 2014, 1.274 casi di Pasung sono stati segnalati in 21 province e le persone sono state liberate nel 93% dei casi. Non ci sono dati, tuttavia, su quante di loro siano state riabilitate con successo e quante siano state restituite successivamente alle loro catene. Ricercatori del HRW hanno parlato di un uomo che teneva la figlia incatenata da 15 anni perché temeva che fosse stata stregata e non aveva i soldi per portarla da un medico.

“E’ diventata distruttiva, si è messa a scavare i campi di altri proprietari e a mangiare il mais crudo dalla pianta. Mi vergognavo ed ero spaventato all’idea che lo avrebbe rifatto”, ha detto. “Per prima cosa ho legato i polsi e le caviglie con dei cavi, ma è riuscita a liberarsi, così ho deciso di rinchiuderla perché i vicini avevano paura.”

Anche se ha liberato sua figlia due mesi dopo la visita di HRW, ha detto loro che, per quindici anni, era stata lasciata a defecare nella sua stanza, e che non è mai stata pulita. Non era stata lavata per tutto questo tempo, e non veniva né vestita né visitata. Il suo unico contatto con il mondo esterno, al di là dei pasti infilati all’interno due volte al giorno attraverso un buco nel muro, è arrivato quando i bambini locali la hanno bersagliata con le pietre.

“L’incatenamento delle persone in cattive condizioni di salute mentale è illegale in Indonesia, eppure rimane una pratica diffusa e brutale”, ha detto Kriti Sharma, ricercatore sui diritti dei disabili a Human Rights Watch e autore del rapporto. “Le persone passano anni rinchiuse in catene, con blocchi di legno, o in recinti per le capre perché le famiglie non sanno che altro fare e il governo non fa un buon lavoro nell’ offrire alternative umane.”

Nel rapporto si riconosce che il governo ha preso misure per affrontare la pratica attraverso iniziative come il programma “L’Indonesia libera da Pasung”, che mira a sradicare la pratica entro il 2019. Ma si dice i progressi sono stati ostacolati dalla natura decentralizzata del sistema di governo e dall’inadeguatezza delle risorse e delle infrastrutture. Lo studio dice che l’Indonesia, un paese-arcipelago sparso di 250 milioni di persone, ha solo circa 800 psichiatri e 48 ospedali psichiatrici, oltre la metà dei quali sono in solo quattro delle sue 34 province.

Notando che il budget del ministero della salute è 1,5% della spesa del governo centrale dell’Indonesia per il 2015, il rapporto descrive la spesa sanitaria mentale trascurabile, aggiungendo che gli ultimi dati mostrano che quasi il 90% di coloro che hanno bisogno di accedere ai servizi di salute mentale non è in grado di farlo. I reclusi in istituti, nel frattempo, possono cadere preda di violenza fisica e sessuale, o essere sottoposti a trattamenti involontari come terapia di elettroshock, isolamento, segregazione e contraccezione forzata.

L’ HRW ha trovato alcune delle strutture sovraffollate, mentre i livelli di igiene personale in molti casi erano “atroci”, con le persone “ordinariamente costrette a dormire, mangiare, urinare e defecare nello stesso luogo”. L’organizzazione ha anche documentato l’uso di erbe “magiche”, recite del Corano e la terapia elettroconvulsiva senza anestesia e senza consenso. Sono stati rilevati dai ricercatori casi di violenza fisica e sessuale: in sette degli istituti visitati, il personale di sesso maschile era o responsabile per la sezione femminile o in grado di andare e venire a suo piacimento, aumentando il rischio di violenza sessuale.

La relazione invita il governo indonesiano a fare della salute mentale una priorità così da porre fine al Pasung, ordinando controlli immediati di istituzioni pubbliche e private, e realizzando un regolare monitoraggio. Altre raccomandazioni includono la modifica del Mental Health Act 2014 per dare alle persone con disabilità psicosociali gli stessi diritti di cui godono i loro concittadini, realizzare la formazione di operatori della salute mentale, e sviluppare servizi centrati sulla comunità.

Altrettanto importante, tuttavia, è ascoltare le voci delle persone colpite da malattie mentali, consultarle sul trattamento subito, e richiedere il loro consenso informato. “Il pensiero che qualcuno ha vissuto nei propri escrementi ed urina per 15 anni in una stanza chiusa, isolata e non ha ottenuto alcuna cura di sorta, è proprio orribile”, ha detto Sharma. “Tante persone mi hanno detto, ‘Questo è come vivere in un inferno’. Èd è proprio così.”

 

Commento di Aldo Lotta

L’ “Inferno” di questa attualissima cronaca non conosce spazi di separazione rispetto al nostro mondo civile. Tanto meno percepiamo rassicuranti orizzonti temporali:  abbiamo ancora il ricordo di un nostro Inferno manicomiale e ne percepiamo gli strazianti rigurgiti nelle cronache quotidiane. Ma, soprattutto, ancora una volta, siamo testimoni, nella nostra nazione, di pratiche politiche, non più ambigue, di sottrazione graduale di diritti, con particolare riguardo alla salute e all’istruzione.

E, già da tempo assuefatti alle pratiche di s-oppressione e apartheid verso i Palestinesi, ora ci stiamo quasi abituando ai “nostri” nuovi muri, e alle pratiche violente di soldati, non tenuti a pensare, inviati dai governi della “nostra” Europa per respingere donne e bambini atterriti e ricacciarli nel “loro personale Inferno”. Anche, e non solo, per tutto questo, di un “nostro” prossimo, ma già conosciuto, Inferno possiamo avvertire oggi la tetra fuliggine.

Ognuno di noi può, ancora, gridare il proprio No a tutto questo, e guadagnare la dignità che i padri fondatori, nello stilare la nostra costituzione, intesero lasciarci come preziosa eredità da tramandare.

Nella foto: I residenti in un centro di riabilitazione per malati mentali a Galuh, Indonesia. L’ammanettamento è stato vietato nel paese nel 1977, ma la pratica resta diffusa. Fotografia: Andreas Stella Reese / Human Rights Watch.

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