Vocazioni antiche, espulsioni nuove
16 Novembre 2007
Andrea Pubusa
Forse Veltroni non lo sa, ma Amato certamente sì, essendo un luminare della materia. Nel decreto-espulsioni del primo novembre scorso, attualmente all’esame di Palazzo Madama, c’è l’eco del testo unico di pubblica sicurezza del 1931. Il regio decreto fascista è stato lungamente criticato in passato per la genericità dei presupposti che legittimavano l’adozione dei provvedimenti prefettizi e per la indefinitezza del contenuto delle misure di sicurezza. Infatti, il famigerato articolo 2 stabiliva: “Il Prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”. Come si vede, il prefetto poteva adottare qualsiasi provvedimento restrittivo della libertà personale e delle libertà in genere a suo insindacabile arbitrio per indefinite ragioni d’urgenza e di necessità pubblica e per altrettanto imprecisati motivi di ordine e sicurezza pubblica. Una vera e propria legittimazione all’arbitrio in violazione delle libertà fondamentali. Nel decreto del 1 novembre scorso il contenuto dei provvedimenti prefettizi, invece, è definito (l’allontanamento dal territorio nazionale) ed è determinato anche il termine di durata di esso (tre anni). Sono sicuramente generici però i “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’espulsione. Essi ricorrono “quando il cittadino dell’Unione o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana e dei diritto fondamentali della persona ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza”. Ora, non è chi non veda il manifesto contrasto con la previsione dell’articolo 13, comma 3, della Costituzione, che legittima l’adozione di provvedimenti provvisori, limitativi della libertà personale, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”. Per apprezzare appieno la garanzia costituzionale si ricordi che ordinariamente solo l’autorità giudiziaria, per la sua posizione di terzietà, può adottare misure restrittive della libertà personale e, in genere, dei diritti fondamentali. Il principio costituzionale di tassatività è stato introdotto proprio in ragione della eccezionalità dell’attribuzione all’autorità di pubblica sicurezza di siffatti poteri e impone certamente che le ipotesi legittimanti un simile eccezionale potere siano normativamente definite in maniera specifica, dettagliata, ed ancorate a parametri certi. Così è per esempio nelle ipotesi in cui l’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. Come si vede, in questi casi, l’esercizio in via provvisoria di poteri limitativi della libertà personale è vincolato alla ricorrenza di fattispecie precisamente determinate e oggettivamente verificabili. Non è così per i motivi imperativi di pubblica sicurezza del testo dei giorni scorsi, la cui definizione è generica e apre la strada agli arbitrii e agli abusi.
Ma non basta. Almeno altri due sono i punti critici del decreto legge: la rilevanza del comportamento del “familiare” e il deficit di garanzia giurisdizionale dei provvedimenti di espulsione.
Fra i “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento il decreto legge attribuisce rilevanza ai “comportamenti” tenuti dal “familiare” del soggetto destinatario del provvedimento. Una vergogna. È manifesta la violazione del principio di “personalità” della responsabilità penale, in forza del quale non può disporsi l’espulsione in ragione di comportamenti tenuti da soggetti diversi dal destinatario del provvedimento di allontanamento. Insomma, si rischia di legittimare una inammissibile “deportazione” d’interi nuclei familiari per le malefatte, vere o ritenute tali, di uno soltanto dei componenti di essi. Ed infatti le foto dei primi camions carichi di povera gente con le loro povere cose, che non si sa dove vadano e a far che, ricordano i filmati di deportazioni di altri tragici tempi e luoghi. E suscita indignazione, a fronte della sfacciata e ostentata opulenza circostante, assistere, nell’Italia democratica fondata sulle libertà fondamentali e sulla solidarietà, assistere a queste vere e proprie mascalzonate salutate con compiacimento dal centro e dalla destra. Un vero tradimento dello spirito della Costituzione antifascista! E della Carta dell’Onu, se è vero come è vero che questa organizzazione ha mosso una contestazione formale al governo italiano per queste e per precedenti violazioni dei diritti umani (vedi il testo completo ne il Manifesto di qualche giorno fa), cosicché registriamo il paradosso che il neosegretario del Partito democratico viene, in qualità di sindaco di Roma, contestato dalle Nazioni Unite per violazione dei diritti inviolabili dell’uomo!
Ma, senza attenuare l’incontenibile indignazione, torniamo al decreto perché c’è dell’altro che puzza di ventennio. Manca ogni vaglio giurisdizionale qualora il destinatario di un provvedimento di allontanamento rientri nel territorio nazionale e sia “nuovamente allontanato con provvedimento immediato” e quando il medesimo si trattenga nel territorio dello stato oltre il termine della intimazione e il questore disponga “l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale”. In entrambe le ipotesi l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento, esercitabile tramite l’accompagnamento coattivo alla frontiera, non è presidiata da alcun controllo giurisdizionale. E in proposito la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte, affermando che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera investa la libertà personale e pertanto richieda la piena operatività del controllo giurisdizionale previsto dall’articolo 13 della Costituzione.
Infine, è irragionevole l’attribuzione al Giudice di Pace della competenza a convalidare le espulsioni. Non che il “giudice di pace” non sia “autorità giudiziaria” e dunque non si può negare che astrattamente soddisfi i requisiti di terzietà e indipendenza previsti dal dettato costituzionale. Tuttavia, il giudice di pace nasce come organo di composizione bonaria di conflitti fra privati e tale caratteristica conserva anche quando esercita poteri giurisdizionali in materia penale. Qui invece si tratta di controversie tra la pubblica autorità ed i privati aventi ad oggetto nientemeno che libertà fondamentali, diritti inviolabili dell’uomo. È inappropriata dunque questa attribuzione di competenza, destinata a legittimare l’immediata espulsione dal territorio nazionale con il necessario conseguente esercizio di poteri di coercizione della persona, sol che si pensi che al giudice di pace ordinariamente non è consentito infliggere sanzioni che comportino un immediato potere di coazione fisica sulla persona.
Insomma, c’è molto da rivedere in questa disciplina per ancorarla ai principi costituzionali. Si può far molto per la sicurezza, anzitutto con la solidarietà e con le politiche d’inclusione, a partire dalla scuola per i bambini e dal lavoro. La repressione deve essere ferma ma con riguardo a casi ben individuati dalla legge e salva sempre la piena garanzia giurisdizionale, per la quale ben vengano procedure semplici e snelle. Ma senza mai attenuare le garanzie costituzionali, che, non lo si dimentichi mai, sono anzitutto espressione di insopprimibili valori di civiltà. Garanzie – si ricordi – che valgono e devono essere attive proprio per i deboli, perché i forti ne hanno minor bisogno, quando non sono essi stessi i protagonisti delle sopraffazioni da cui difendersi. Bene ha fatto e fa la sinistra a puntare i piedi. Questa per le forze democratiche è materia non disponibile. Ha ragione Valentino Parlato (vedi Il manifesto dell’8 novembre) su queste questioni non si transige. Se no, impercettibilmente ma irreversibilmente, la Costituzione viene affossata e con essa le libertà nostre e di tutti.