Vorrei non essere più straniera a casa mia
1 Luglio 2017Amal El Ghifari
La testimonianza di Amal El Ghifari di Cittadinanza senza Limiti a InterAzioni, la conferenza delle organizzazioni sarde aderenti alla campagna Ero straniero – L’umanità che fa bene che si svolta a Cagliari il 26 giugno e a Ius Soli e Ius Culturae: la riforma della cittadinanza svolta a Cagliari giovedì 29 giugno.
La mia storia inizia quando un giovane di vent’anni partì dal Marocco attraversando la Tunisia, verso l’Italia, alla ricerca di un lavoro e di una vita migliore, come fanno oggi tanti giovani nel mondo. Quel giovane era mio padre.
Ho vissuto i miei primi 14 anni in Marocco. Io e i miei fratelli vedevamo pochissimo il nostro papà ma, insieme con nostra madre, attendevamo con ansia il giorno che avremo vissuto tutti insieme sotto lo stesso tetto. Nel 2005 è pronto il nostro visto, così arriva anche per noi il momento di partire. Dopo qualche anno di permanenza ho iniziato a sentirmi parte integrante di questa comunità, fino ad arrivare a sentire la Sardegna come la mia casa, il luogo in cui mi sento me stessa.
Oggi si discute di ius soli e ius culture. Le opinioni sono varie al riguardo ma volevo giusto rispondere ad alcune affermazioni che spesso capita di leggere o sentire sul tema della cittadinanza. La prima è: “non possono aspettare ai 18 anni a chiederla? non hanno nessun diritto in meno rispetto ai bambini o giovani italiani”. Su questa affermazione mi sorgono delle domande: per i caso i figli nati da genitori italiani sono soggetti a rilasciare le proprie impronte digitali? Mi chiedo se tutti i genitori di origine straniera siano portatori di una tendenza a delinquere, altrimenti non mi spiego perché io e i miei fratelli piccoli l’abbiamo dovuto fare.
Così come non mi spiego perché, dopo essermi impegnata tanto per la recita del teatro a scuola non sono potuta partire con gli altri ragazzi, perché forse ci voleva un visto, e dico forse, perché chi lavorava nel settore non mi ha saputo dire se mi sarebbe bastato solo il permesso di soggiorno. Dopo vari tentativi mi sono arresa; è stato uno dei primi momenti in cui mi sono sentita diversa dai miei compagni, e mi sono resa conto di avere qualche diritto in meno.
Passati anni, finalmente arriva il momento tanto atteso: finalmente diplomata. Posso realizzare il mio sogno! Diventerò una hostess! Volare e viaggiare nel mondo e poter parlare le lingue straniere. Diventare hostess è rimasto solo un sogno, non avendo il passaporto italiano che mi avrebbe consentito di passare la frontiera di tutti i paesi. Nell’attesa della cittadinanza che fare ? Ho lavorato e studiato all’università. Ma nel frattempo il mio permesso di soggiorno è passato da permesso per motivi famigliari a motivi di studio: ero ormai una maggiorenne senza contratto di lavoro. Non pensavo che il permesso di soggiorno per motivi famigliari mi avrebbe dato qualche diritto in più.
(Altra domanda)Perché a Cagliari sono stata trattata da studentessa in Erasmus? Il primo episodio è stato quando sono andata in una biblioteca dove mi è stato detto che non si concedevano prestiti agli studenti Erasmus, per timore che portassero via con loro i libri e loro avevano il dovere di proteggere il patrimonio italiano. Dopo una discussione accesa in cui ho tentato di convincere l’impiegata e poi il direttore che non fossi una studentessa Erasmus, beh è finita che io ho chiamato un amico cittadino italiano per poter prendere il libro, e meno male che ci sono gli amici. Per poi portare un certificato di residenza con cui ho dimostrato che io e la famiglia abitavamo qui e poter fare la tessera.
Il secondo episodio si è verificato all’ASL. Per poter fare la scelta del medico avrei dovuto pagare la tassa annuale che pagano gli studenti Erasmus, nonostante anche qui abbia cercato di far capire agli adetti che si trattava giusto di un equivoco, che io ero residente e che le tasse erano già statepagate da mio padre. La risposta è stata: “noi ci basiamo su quello che c’è scritto nel permesso di soggiorno e sugli accordi presi con la questura”. Sono crollata in un pianto con mille domande in testa che volevo chiedere al direttore ma poi ho deciso di lasciar perdere e me ne sono andata. Piccoli episodi quotidiani che ti rimandano a pensare al tuo status di straniero e non fanno altro che creare confusione, alimentare quel meccanismo di crisi di identità. Io e tanti altri giovani abbiamo deciso di combattere, ma non riesco a non pensare ai tanti giovani che si perdono a metà strada, che cercano di identificarsi in qualcosa a tutti costi. Ed è nostro dovere aiutare questi ragazzi, fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Bisogna smetterla di essere ipocriti e cercare colpe altrove.
L’altra affermazione riguarda il modello d’integrazione francese e il suo fallimento. Qui mi viene da pensare a due cose: o non si conosce la storia dell’immigrazione francese o si è in malafede evitando di analizzare il fenomeno per intero. Negli anni ‘50/’60 la Francia ha attuato politiche volte ad incentivare l’immigrazione dai villaggi della Tunisia, Marocco ed Algeria, perché c’era bisogno di ricostruire il paese distrutto dalla guerra. Non è andato tutto secondo i calcoli, perché non era prevista la permanenza dei maghrebini sul suolo francese per tanto tempo, in quanto ogni tot anni di lavoro era previsto il rientro del migrante; un rientro che invece in molti casi non è avvenuto ed è nata la seconda generazione, che ha vissuto per anni nelle baracche e nelle periferie. Da lì è venuto a crearsi un disagio sociale che si è cercato di far finta di non vedere per anni. Senz’altro il modello francese è da prendere in considerazione per cercare di cogliere gli aspetti positivi, ed evitare di commettere gli steessi errori.
Sicuramente però è completamente fuoriluogo, in Italia, accostare il fenomeno dell’immigrazione al terrorismo, in quanto le seconde generazioni di religione musulmana sono una minoranza. Far passare tutti per arabi, musulmani è sbagliato, oltre che discriminatorio.
3 Luglio 2017 alle 17:08
Ciao cugina hai ragione di tutto quello che hai scritto. Speriamo che cambia qualcosa.